A SPASSO CON ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA di S. Tofano

A SPASSO CON  ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA   di S. Tofano

 

Scampia nell’immaginario mediatico è la metafora del degrado, essendo immediatamente associato a spaccio, droga e ammazzamenti vari. Eppure, a conoscerlo, il quartiere è altro. O, meglio, è anche altro.

C’è tanto verde, tanta vita associata e, soprattutto, ci sono tante persone, alle quali non si può non voler bene.

Aldo è una di queste.

La prima volta che Emilio lo vide era una domenica d’autunno e l’impressione più immediata fu che si trattasse di un folle: era lì fermo davanti a un corbezzolo e sembrava che stesse parlandogli.

Emilio si fermò a guardarlo e dopo un po’ ebbe la sensazione che l’albero gli rispondesse, che l’uomo e l’albero fossero immersi in una tenera conversazione.

“Il sole ottobrino deve avermi fatto un brutto scherzo – pensò Emilio – Mi sa che il folle, se c’è un folle, sono io ”

Aldo era uscito di buon’ora per adempiere al suo rituale “viaggio” a bordo di quel che considerava il “più meraviglioso e sconosciuto” dei mezzi di trasporto: i piedi.

Era convinto che passeggiare a piedi fosse l’unico modo per stare “con” e “tra” la gente, anche se, a dire il vero,  a Scampia di gente per le strade non è che ce ne fosse molta: c’erano più cani randagi che persone.

Del resto, dove e perché la gente dovrebbe passeggiare?

Più che a un quartiere, Scampia fa pensare a un deserto, popolato di giganteschi e fallici mostri di cemento pronti a ghermirti coi loro artigli, e le sue strade, più che a strade, fanno pensare a minacciose “lingue” di asfalto dalle quali fuggire, pigiando l’acceleratore a più non posso.

Mancano del tutto: piazze, negozi, vetrine, cinema, teatri, librerie e, soprattutto, un riparo dal sole e dalla pioggia.

Aldo tutto questo lo sapeva, ma “sentiva” come una missione dentro, che nasceva da un innato amore per “l’altro”: “vivere” i luoghi, per quanto marginali o periferici, “creando” relazioni.

Di conseguenza, tutto entrava in relazione con il suo sé più profondo, dal verde agli uccelli, dall’uomo al mistero del nostro transitare nel mondo.

E i luoghi d’incontro, dove si concretizzavano le relazioni, erano i “crocicchi”.

La parrocchia era un crocicchio, la sede del suo circolo ambientalista era un crocicchio, il centro socio-culturale era un crocicchio. Ogni luogo, dove poteva mettersi in relazione con “l’altro”, era un crocicchio.

Giunto all’edicola, altro crocicchio, fu attratto da un branco di cani randagi, diversi l’uno dall’altro per razza, taglia e colori.

Pensò che le “bestie” non hanno le nostre remore nell’accogliere “l’altro”, ma dovette subito ricredersi, perché, proprio mentre realizzava tale convincimento, quello che doveva essere il capo del branco ringhiò e si avventò al collo di un nuovo venuto, che aveva cercato di aggregarsi al gruppo.

Poi, come accadeva nell’era paleolitica, quando branchi di sciacalli seguivano le orme dei cacciatori nomadi per rimediare striminziti avanzi, il branco si mise a seguire un operatore ecologico, che si trascinava con scopa e carrello.

Al passaggio di un’auto, alcuni randagi si misero ad abbaiare contro le ruote del veicolo.

Aldo si chiese perché i cani avversassero tutto ciò che rotola e, senza darsi risposta, proseguì il suo “viaggio”.

Emilio, a distanza, continuava a seguirlo e a osservarlo.

Era autunno inoltrato e una cospicua pioggia di foglie ingiallite era andata a formare sui marciapiedi a lato del lungo vialone un soffice tappeto, che sollecitava una sensazione di quiete, che invitava al riposo.

Aldo si fermò davanti a uno dei tanti bagolari, da cui erano cadute le foglie, e gli sorrise per ringraziarlo di quella “pace”.

Amava così tanto le piante che si soffermava come incantato a rimirarle: le conosceva ad una ad una e gli piaceva chiamarle per nome.

Lo addolorava l’indifferenza dei residenti, non si capacitava della loro scarsa sensibilità.

“Il verde è vita!” diceva.

“Come si fa – si chiedeva – a non distinguere una pianta dall’altra? A dire che una pianta vale l’altra? Sono forse gli uomini uno uguale all’altro? Lo sono i cani?”

Lo inorgogliva il dato che indicava Scampia come il quartiere più “verde” della città, anche se qualche amico, scherzando, gli chiedeva se il dato, invece che alla flora, si riferisse alle tasche dei residenti.

Eccolo dunque fermo ad osservare la “tuta mimetica”, disegnata dalle foglie parte color ruggine e parte color verde smorto dei platani di via Bakù e poi ad inspirare gli odori e apprezzare i fruscii e i colori dei tamerici abbruniti di un parco poco distante.

E ancora a godere dei siliquastri dalle foglie cuoriforme, chiazzate di giallo e impreziosite dal rosso dei fiori, o dei gingko biloba, degli eucalipti, dei lecci e delle magnolie, dei cedri, dei pini e delle palme.

L’agrifoglio presentava già le caratteristiche bacche e lui, accarezzandole, ricordò che di lì a poco era di nuovo Natale.

“Più avanzano gli anni – notò – e più il tempo scorre veloce. La vita il più delle volte sembra sadicamente contraddire i nostri desideri!”

Il corbezzolo, che in autunno vede un’esplosione di colori,  col bianco dei fiori, il rosso dei frutti e il  verde delle foglie, gli ricordò la nostra bandiera.

“Non per niente il corbezzolo è conosciuto come l’albero risorgimentale!” disse fra sé.

“Quanti colori!” esclamò Emilio, avvicinandosi.

“Già… – rispose Aldo – peccato che nessuno se ne accorga!”

“Quando si pensa alle periferie, il solo colore che viene in mente è il grigio… ”

“Perché siamo soliti annegare nel luogo comune…”

“Permetta che mi presenti… Emilio!”

“Diamoci del tu… io sono Aldo!”

Presentatisi, i due ripresero a camminare e si diressero verso la villa comunale, dove Aldo voleva far “vivere” al “nuovo” amico l’ esperienza per l’altro mai esperita del birdwatching, dell’osservazione degli uccelli nel loro ambiente naturale .

Appostatisi, poterono ammirare il ticchettio caratteristico, che accompagna il richiamo del pettirosso, e lo tzi tzi delle pispole, uccelli terricoli molto simili alle allodole, come pure il volo simile a quello della farfalla del verzellino.

All’apparire di un occhiocotto, Emilio lo scambiò per una capinera, ma Aldo subito lo corresse: “Si tratta di un occhiocotto. Sia l’occhiocotto che la capinera hanno il capo nero e un piumaggio, che va dal grigio cenere al grigio scuro, ma il primo presenta un caratteristico anello orbitale rosso attorno agli occhi. Ambedue sono insettivori, si cibano di insetti”

Un saltipalo volò dal palo della luce, dove si era acquattato, e puntò come un falco sulla preda, che aveva adocchiato, divorandola.

“E’ un saltipalo – spiegò Aldo – e si ciba anche lui di insetti”

Ogni volta che passava un uccello, Aldo lo indicava e ne ripeteva il nome.

E di uccelli ne passarono tanti: tardi, storni, verdoni, passeri, merli, perfino un codirosso spazzacamino dalla livrea nero fuliggine con strisce bianche sulle ali e coda rosso mattone.

Aldo evidenziò che le strisce indicavano la sua appartenenza al genere maschile.

“Scampia ha innegabili problemi di vivibilità, ma la ricchezza di flora e fauna è la spia evidente che l’unico responsabile del degrado, che qui vige, è l’uomo!”

“Non mi hai ancora detto il cognome” disse Emilio.

“Se è per questo nemmeno tu. Comunque, Bifulco. Il mio cognome è Bifulco”

Emilio lo guardò ed ebbe un attimo di pausa.

“Sei tu allora che hai scritto quel libro sulla storia di un circolo di periferia?”

“L’Angolo della gru: dieci anni di storia di un circolo di periferia?”

“Esatto!”

“No, ne sono solo uno degli autori”

“Sì, ma sei quello che s’è inventato la storia dei “penultimi” da contrapporre agli “ultimi”!”

“Non esageriamo: ho solo detto che a Scampia non c’è solo la sofferenza di quelli che non hanno studiato, non hanno casa e lavoro, ma anche la sofferenza di quei giovani che pur avendo acquisito cultura, competenze, valori, titoli, non trovano dove spendere la propria sensibilità relazionale, finendo spesso vittime della droga”

“Hai scritto che essi sono più fragili degli altri…”

“Ed è vero!”

“A me sembra un paradosso…”

“Perché?”

“E’ come dire che è meglio essere ultimi che penultimi…”

“Lascia perdere: gli ultimi sono sempre ultimi!…”

“… ma un giorno saranno primi”

“Già!… Speriamo solo che i penultimi saranno almeno secondi!”  

  

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….non una vera recensione, ma sparse considerazioni. Lello Del Mondo

 

Il giardino del liceo. Un ponte tra le generazioni.

 

….non una vera recensione, ma sparse considerazioni.

 

 

“Cura, dono, gratuità, responsabilità nell’uso delle risorse, accoglienza, ascolto, pace, bellezza, spiritualità, sobrietà……come strutture portanti di questo ponte, ossia, la preziosa eredità che ogni generazione lascia a quella successiva”.

Potrebbe essere questo un possibile sottotitolo del libro, dato che a me pare che sia questo il suo nucleo centrale. Da questo punto di vista, quindi, l’esperienza della realizzazione del giardino è stata molto di più di un’esperienza didattica, sia pure importante ed interessante, è stato un vero, autentico, forte percorso di formazione, di educazione, di crescita …….un apprestare il terreno ad una nuova civiltà.

Tutto ciò, a mio avviso, è profondamente “ecologico” cioè proprio di una visione ecologista della vita e, contemporaneamente, frutto di una profonda e sincera spiritualità che consente di oltrepassare gli spazi angusti e limitati, a volte pericolosamente gretti e poveri, di una scienza forzatamente meccanicista e riduzionista.

Direi che il libro appartiene al genere dell’autobiografia, anche se in primo piano non c’è la vita dell’autore ma il racconto “emotivo, razionale e non sequenziale” di ciò che è accaduto dal giorno “della consegna di un mausoleo grigio sperduto in un vasto deserto di erbacce”alla realizzazione del giardino, affidato oggi alle cure di studenti ed ex-studenti riuniti in associazione.

La narrazione non è mai una cronaca asettica di quanto visto e vissuto; essa è in ogni momento ricca di emozioni, di sentimenti, di considerazioni che offrono altrettanti spunti di riflessione. Per il calore umano, per l’amore verso la propria Terra, per la meravigliosa quantità di volti che vi ho trovato, questa autobiografia mi ha fatto tornare in mente un’altra autobiografia:”Confesso che ho vissuto” di Pablo Neruda.

Io, mio carissimo Aldo, considero questo tuo libro un regalo, un dono: il racconto di una vita vissuta con umiltà, amore verso il prossimo, speranza di un futuro migliore. Forse ci hai dato una delle cose più care per te: una parte di quello che la vita ti ha insegnato.

Un abbraccio, Lello.

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recensione www.fuoricentroscampia.it Mario Corbo

Il giardino del Liceo: quando emozioni vere ed idee forti diventano scrittura
Di Mario Corbo
 
di: Mario Corbo
 
Un libro splendido, il Giardino del Liceo di Aldo Bifulco, che getta immediatamente un “ponte” verso l’animo del lettore. Emozionante ed anche avvincente, racconta un’esperienza didattica – l’impianto di un giardino in un terreno brullo circostante ad un Liceo della provincia di Napoli – che ha unito nel “pensare” e nel “fare” alcune generazioni di studenti e docenti nell’arco di quasi un trentennio. La magia del libro è nel modo in cui l’esperienza è raccontata. L’autore, la voce narrante, racconta prelevando dal flusso della memoria alcune “gemme”, che si trasformano senza filtri in una scrittura avvolgente, in grado di restituire a pieno l’originaria densità emozionale. E’ un libro sulla “relazione”, che racconta relazioni significative fra persone e con la natura e crea nuove “relazioni”, coinvolgendo il lettore che si sente parte di quel Tutto che, pagina dopo pagina, il testo disegna con plastica evidenza.L’immagine dei protagonisti dei singoli capitoli si delinea sempre e solo nella relazione con l’altro e con la natura. Il racconto li coglie nella loro interazione rispetto al contesto umano e ambientale in cui hanno operato, ma riesce anche a farli interagire fra di loro, a renderli coevi, annullando la distanza temporale e generazionale che in realtà li connota. Il risultato è un grande equilibrio narrativo da cui traluce “armonia”, finanche nella descrizione dei conflitti. L’armonia della narrazione riflette l’armonia dell’animo dell’autore, che conferisce unitarietà a fatti avvenuti in tempi diversi e lontani, le cui tracce non sono andate disperse solo per la disposizione all’accoglienza, che fa di Aldo una persona speciale. Ne viene fuori, pertanto, un testo speciale: poetico e riflessivo, avvincente come un romanzo e, nello stesso tempo, rigorosamente scientifico, ricco di spunti pedagogici e filosofici, che delineano una visione del mondo pienamente laica, ma pervasa da una profonda spiritualità.L’esperienza “contingente” del giardino didattico, nonostante non sia mai presentata dall’autore come modello, diventa di fatto “esperienza emblematica”, carica di significati pedagogici nuovi ed alternativi. Una pedagogia “scomoda” che, fondendo teoria e prassi, relativizza la parola astratta trasmessa solo ex cathedra, a vantaggio di una parola, strumento dell’azione, che provoca e, nell’interazione, acquista significati plurimi. Una pedagogia “scomoda” che, facendo propria la logica del “dono” e dell’impegno “gratuito” e disinteressato, mentre costruisce intorno a sé una rete virtuosa di relazioni formative, interroga in profondità, fino alla provocazione, la coscienza di quelli, e non sono pochi, che misurano il loro impegno nella scuola in termini meramente quantitativi e retributivi. Fatta salva, naturalmente, la legittima pretesa ad una retribuzione dignitosa ed adeguata da parte dei docenti, è inaccettabile che essa diventi un “alibi” che giustifichi l’immobilismo e la rassegnazione. Le riforme vere non provengono mai dall’alto, ma sono sempre il risultato dell’incontro fecondo tra saggi ed equilibrati cambiamenti strutturali proposti dal legislatore e gli innumerevoli fermenti di creatività nati dal basso, frutto dell’impegno di chi vuole davvero una scuola diversa. Senza questo humus, anche la migliore delle riforme sarebbe destinata al fallimento o a produrre risultati sterili. L’esperienza descritta nel libro di Aldo, nella sua peculiare emblematicità, indica agli operatori della scuola la via maestra da seguire e a tutti i lettori una visione del mondo centrata sull’accoglienza e il rispetto per ogni forma di vita. L’amore per la vita e il senso di responsabilità verso tutti gli esseri viventi, straordinariamente diversi e insieme profondamente simili e interdipendenti, costituiscono il motore ideale ed emozionale da cui scaturiscono le riflessioni più propriamente filosofiche. Esse definiscono i contorni di un universo “partecipativo”, le cui sorti future sono sempre più legate all’imperativo categorico di un “patto fra le generazioni”. Un “macrouniverso” le cui dinamiche sono state sperimentate e vissute nel “microuniverso” di un giardino, frammento del Tutto, le cui sorti sono anch’esse legate ad un patto non scritto nel fluire del tempo.Concludendo, vorrei “contraddire” Aldo solo su un punto. A pagina 61 egli afferma: “ho sempre tenuto a freno la dolcezza, la tenerezza e ne ho accumulata tanta senza esprimerla adeguatamente”. Io che conosco Aldo da quasi 50 anni mi sento di dire che non è stato così. Ha riempito nel corso degli anni i nostri cuori di una dolcezza e di una tenerezza senza fine, amando autenticamente ed insegnandoci ad amare, pur attraverso l’impervio cammino della ricerca e del dubbio. E questo libro senz’altro costituisce un’ulteriore testimonianza di come si possa “sognare” e perseguire il cambiamento a partire dal volto dell’altro. 

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Comunicato stampa… indirizzi per prenotazione

Un Libro che racconta il Giardino del Liceo Brunelleschi di Afragola

 

” Il Giardino del Liceo, un ponte tra le generazioni” è il titolo di un libro scritto da Aldo Bifulco e da poco pubblicato dall’Ed.Qualevita. E’ la narrazione di un’esperiena didattica trentennale articolare che ha prodotto la trasformazione di un’area brulla, incolta che circonda il Liceo Sc.”F.Brunelleschi” di Afragola in uno splendido giardino didattico, una piccola oasi al servizio dell’intero territorio. Si racconta del lavoro svolto in una scuola pubblica, soprattutto dagli

studenti, che si sono avvicendati anno dopo anno, dal 1982 ad oggi, “un ponte tra le generazioni” appunto, che si è sviluppato malgrado la scarsa considerazione istituzionale, all’insegna della precarietà e la povertà dei mezzi. Il libro è un condensato di scatti razionali ed emotivi non sequenziali, racchiusi in dodici capitoli introdotti da un “nome” che individua una persona o un luogo significativo per l’esperienza e si conclude con la descrizione di una pianta del

giardino, opportunamente selezionata e con un documento che ha accompagnato lo snodarsi della storia. Fare memoria di un progetto che racchiude “qualità e tempo”, caratterizzato dalla durata, dalla continuità, proiettato nel futuro, in un momento storico dominato dalla cultura “dell’usa e getta”, dall’esasperata considerazione del presente, dalla ricerca spasmodica della visibiltà estemporanea, è certamente un’operazione significativa. Ed è un invito appassionato, da parte di un docente appena collocato in pensione, a riflettere, senza pregiudizi, ma con rigore e disponibilità interiore, sulle problematiche dell’ambiente e della scuola coinvolta, oggi, in un dibattito delicato e conflittuale.

Il libro del prof. Aldo Bifulco serve a finanziare un importante progetto sociale per l’Africa, maggiori informazioni del progetto sono sul sito http://www.forumgregoriodonato.org

È possibile acquistare una copia del libro presso la sede del Circolo degli Universitari di Afragola in via Francesco Russo 55 dal Lundì al Venerdì dalle 16.30 alle 20.00

o scrivere per prenotazione a rosario.dangelo@yahoo.it

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IL GIARDINO DEL LICEO – UN PONTE TRA LE GENERAZIONI

Il “giardino del liceo” ha rappresentato un “ponte tra le generazioni”, un ponte che unisce non nello spazio, ma nel tempo. La scienza nella sua storia ha dato molta importanza allo spazio, ignorando spesso il tempo. Ma “le memorie sono sicuramente più importanti dei kilometri”. La scrittura di questo piccolo libro non vuole assumere lo stile di un diario, di una cronaca e nemmeno vuole rappresentare una riflessione puntuale sul valore didattico dell’esperienza. Vuole essere una narrazione. Scatti razionali ed emotivi non sequenziali racchiusi in dodici capitoli. Ogni capitolo è introdotto da un “nome” che individua una persona o un luogo significativo per l’esperienza e si conclude con la descrizione di una pianta del giardino, opportunamente selezionata, e con un documento che ha accompagnato lo snodarsi della storia. Questo libro vuole narrare il percorso venticinquennale che ha portato a trasformare un’area “desertica” che circondava la sede del Liceo Scientifico “F. Brunelleschi” di Afragola, cittadina della provincia di Napoli, in un “giardino didattico”, una piccola oasi al servizio del territorio. Si tratta di un lavoro svolto da alcune maestranze della scuola, ma soprattutto dagli studenti che si sono avvicendati, anno dopo anno, dal 1982 ad oggi, e che si è sviluppato malgrado la scarsa considerazione istituzionale e senza alcun contributo finanziario significativo. In questo caso non si è trattato di mantener viva solo una memoria, ma di tenere in piedi una struttura concreta, un giardino che ha avuto ed ha bisogno di cura e passione. Una struttura materiale che racchiude in sé “qualità e tempo”. Questi valori hanno rappresentato una fiammella da tenere sempre accesa, da trasmettere di generazione in generazione, tra persone fluttuanti che sostano in loco solo temporaneamente. In un tempo dove impera la cultura dell’“usa e getta” e l’esasperata considerazione del presente, questo progetto, cominciato e condotto all’insegna della precarietà e della povertà dei mezzi, si è caratterizzato per la sua continuità, la sua durata, diventando appunto un ponte tra le generazioni. Tutto ciò mentre la scuola appare bloccata nella logica aziendalistica, preoccupata della visibilità spicciola, di fornirsi di spot pubblicitari per catturare clienti. In questo contesto l’ecologia delle chiacchiere astratte e delle lamentazioni frustranti si è fatto progetto, lavoro concreto e nuovo stile di vita. Mi sono deciso a lasciare una traccia di questa storia, nel momento in cui mi accingo a lasciare definitivamente il mondo della scuola, non solo per rispondere alle continue sollecitazioni nate in tempi e contesti diversi, ma anche per un dovere di riconoscenza nei confronti di quelli che hanno contribuito con il loro lavoro silenzioso e appassionato alla realizzazione di questo progetto. Altre due motivazioni mi hanno spinto a scrivere questo testo. Siccome gli artefici principali di questo percorso sono stati gli studenti, credo che ad essi spetti non solo la “titolarità morale” del giardino, ma anche la “titolarità giuridica”, è perciò auspicabile che venga presa in considerazione la proposta che avanzo in questo libro: affidare all’Associazione degli ex-studenti, nata in questi anni, la gestione e la cura del giardino didattico. La struttura tradizionale di una scuola è la suddivisione in sezioni e classi; il Liceo, in questi anni, si è arricchito di un’articolazione originale aggiuntiva, la creazione di gruppi trasversali intorno ad un interesse comune. Sono nati così i “nuclei ecologici”, i gruppi della Scuola di Pace, le “Sentinelle del territorio”, il gruppo di solidarietà “Mahlet” ed altri ancora. Il gruppo “Mahlet” ha contribuito alla costruzione di un Centro dei diritti dell’Infanzia a Quihà, in Etiopia. Altri 100 bambini bussano alla porta del Centro, è necessario costruire un altro modulo. Questo libro è offerto agli studenti per raccogliere fondi e “piantare un pò di speranza nel cuore dell’Africa”.

Aldo Bifulco

 

IL LIBRO PUO ESSERE PRENOTATO SU WWW.PRODUZIONIDALBASSO.COM

O ACCEDENDO DIRETTAMENTE http://www.produzionidalbasso.com/reguser_291.html

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Architettura di periferia: Luci ed ombre.


Il Circolo di Legambiente di Scampia ha voluto chiamarsi “la Gru” non soltanto per un riferimento esplicito al volatile che ispira un senso di libertà e leggerezza, ma anche per  la presenza, da sempre, nel nostro quartiere di altre “gru”, enormi, maestose, metalliche. In questo periodo esse imperversano a Scampia e la cosa ci fa piacere perché significa che si lavora, si realizzano progetti . Ma allo stesso tempo siamo assaliti dall’ansia e qualche domanda si fa pressante: “Sarà un’opera che soddisferà le esigenze e le attese della gente di Scampia oppure si tratterà di un’altra struttura buona solo per riviste di architettura?” “Si tratterà di un altro “megamostro” oppure di un’opera esteticamente apprezzabile?”

Utilità e bellezza rappresentano un binomio che potrebbe coesistere in una architettura, sia pure di periferia.

Vogliamo indagare su questo fronte con Dario Guglielmi, giovanissimo architetto del nostro quartiere, che ha già riscosso alcuni successi professionali, come è stato riportato, un po’ di tempo fa, anche da “Fuga di notizie”.

Da alcuni mesi, dopo una discreta attesa, è stata ultimata la Chiesa S.Maria di Maddalena a Scampia. E’una bella struttura realizzata anche con il tuo contributo. Brevemente, quali sono i motivi architettonici che ispirano questo edificio?

Lo spunto iniziale era quello di realizzare qualcosa di discreto e misurato che, per un gioco di contrasti, potesse  offrire un’ alternativa possibile alle “megastrutture” tipiche dell’edilizia delle nostre periferie. Al di là del risultato formale era importante fissare come vincolo il bisogno di edificare a “scala umana”, spazi percorribili in grado di offrire suggestioni, in cui si potesse provare l’emozione del senso di appartenenza, emozione spesso negata agli abitanti di Scampia. La suggestione si concretizza nella pianta a base circolare che avvicina l’osservatore al presbiterio, nel muro in pietra, nell’allusione al tema della “capanna” che caratterizza l’interno della copertura dell’Aula Liturgica, con la scansione tra pannelli in fibra di legno mineralizzato e nervature strutturali in cemento armato. Le nervature strutturali in evidenza incuriosiscono e la loro percezione trasmette all’osservatore un senso di solidità, le lunghe travi si riescono a percorrere con lo sguardo e inconsapevolmente si è portati ad osservarle dalla base (la dimensione umana, facilmente intuibile, 4, 5 metri , non di più…), fino alla testa, al grande stacco circolare e alla LUCE (la dimensione divina, imperscrutabile). L’asse altare-ingresso è orientato Nord-Sud, i finestroni del presbiterio danno quindi luce fredda che non abbaglia e ha colorazione costante, mentre la lunga parete curva dell’ingresso e il fascione di finestre servono a captare la luce del sole lungo l’asse Est-Ovest, dall’alba al tramonto. La copertura dalla doppia inclinazione ripara l’interno dell’Aula Liturgica dal sole violento d’estate e permette ai raggi del sole d’inverno, più bassi all’orizzonte, di entrare a riscaldare. Il campanile isolato è un simbolo dal sapore vagamente medievale, con la griglia in acciaio che lo caratterizza nella metafora  del presidio, dell’ avamposto.

Spesso i quartieri periferici sono i luoghi di sperimentazioni ardite dal punto di vista architettonico. Fai un quadro del nostro quartiere, indicando luci ed ombre presenti.

Nei quartieri periferici possono mancare riferimenti tali da responsabilizzare maggiormente le amministrazioni locali nel predisporre ed attuare gli strumenti di pianificazione urbanistica. Forse risulta difficile, entro l’orario d’ufficio, riuscire a sintetizzare in un disegno unico i bisogni, le speranze e le prospettive di un insieme disomogeneo di 30, 50, 80 mila persone che di fatto, unitamente al territorio, fanno le nostre moderne periferie. Spesso per “risolvere il problema” e trovare un accordo comune ci si affida a “grandi firme” indiscutibili, che, con sperimentazioni ed interventi simbolici, possano intervenire alla ridefinizione del territorio, ma spesso si perde il controllo. Probabilmente al momento le strategie più agili per affrontare problematiche complesse come quelle legate alle periferie, sono offerte da strumenti quali la “Conferenza dei Servizi”, della legge 241/90, recentemente aggiornata. Si tratta di strumenti che l’Ente Locale può adottare per promuovere un rapporto dialettico collegiale con una pluralità di soggetti al fine di chiarire in tempi brevi le reali necessità, bisogni e possibilità di un dato intervento.
Altro strumento che secondo me potrebbe essere positivamente impiegato per Scampia è quello del “Concorso di Idee”, in questo caso l’Amministrazione invita soggetti esterni alla predisposizione di progetti di qualità, idee, e nel contempo innesca un meccanismo in grado di attrarre attenzione, curiosità, opinione pubblica. Recentemente si è parlato di “concorsi di idee” per il quartiere De Gasperi di Ponticelli e prima per Bagnoli, Soccavo, Chiaiano e Pianura. Alla base ci sono però sempre le persone, una volontà comune e concreta di risolvere un problema.

Hai qualche idea sui cantieri in opera sul territorio? E, poi, qual è la tua impressione sull’entrata della Metropolitana? Molti hanno manifestato qualche perplessità, soprattutto per il gusto di “tipo cimiteriale”.

Ho apprezzato la realizzazione di nuova edilizia, la più semplice e senza pretese che si possa realizzare che forse può garantire un rapporto di vicinato più sereno e civile, finisce un incubo per molti nuovi inquilini. Sono favorevole all’abbattimento delle “Vele”, riconoscendo l’errore si può aspirare ad un reale miglioramento. Una delle disfunzioni principali del quartiere resta sempre l’enormità degli spazi e la loro impossibilità ad essere attraversati e vissuti. In questa direzione prediligerei una serie di piccoli interventi localizzati, ma legati ad un disegno unico di riqualificazione, integrando uffici a funzioni di commercio, artigianato, ristorazione, svago, approfondimento culturale. Ho paura delle grandi piazze, telematiche e non, intese come grandi contenitori vuoti, a Scampia non ne abbiamo bisogno. Il nuovo ingresso alla metro desta qualche perplessità, più utile ragionare su come rendere l’accesso il più funzionale e sicuro possibile, si invecchia aspettando le navette.                                                                                               

                                                                                                           Aldo Bifulco

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I GIOVANI E LA POLITICA


“Qui non si parla di politica” ,“Sono apolitico”: espressioni  ricorrenti nel mondo giovanile (e non solo) e che spesso vengono ostentate come un valore. Espressioni e atteggiamenti che hanno tormentato gli ultimi anni di “nonno Nino”, come veniva affettuosamente chiamato in una certa area giovanile Antonino Caponnetto, “il magistrato cartavelina”, il padre del Pool antimafia, il maestro di Falcone e Borsellino, l’amico saggio coraggioso e sofferente dei giovani dei movimenti antimafia. Egli, e con lui tanti altri, avvertiva il pericolo che anche nel nostro paese la disaffezione  alla discussione e all’impegno sul versante civico potesse determinare la delega assoluta ad alcuni mestieranti del potere (che non aspettano altro), la spinta a rinchiudersi essenzialmente nel privato e alla ricerca spasmodica dell’effimero. Malgrado l’affacciarsi sulla scena politica del sorprendente movimento dei giovani di Locri, la crisi della partecipazione alla vita politica e sociale è un fenomeno in crescita e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti!

Nel nostro quartiere, a Scampia, c’è qualche presenza giovanile nell’ambito delle Istituzioni. Abbiamo perciò cercato Luca Marino e lo abbiamo intervistato.

I giovani e la politica: non è oggi un rapporto facile. Come hai vissuto la tua esperienza politica all’interno della Circoscrizione Scampia?

La problematica distanza che si frappone tra i giovani e la politica non la contestualizzerei con la realtà odierna. Se pur vero, infatti, che i ragazzi di oggi sono circondati da un numero infinito di distrazioni ed afflitti, probabilmente, da maggiori preoccupazioni (vedi le lunghe carriere scolastiche e la patologica difficoltà di inserirsi nel mondo del lavoro), è anche vero che per comprendere le ragioni di questo evidente divario sarebbe utile fare un piccolo passo indietro nel tempo, per ritrovare il graduale affievolirsi della questione ideologica e il senso di repulsione provocato dagli avvenimenti legati al fenomeno di Tangentopoli. In completa controtendenza, sottolineerei invece il valore che la nascita e la rapida diffusione dei cosiddetti “blogs” stanno assumendo, quale strumento di informazione e confronto, nel lento e timido processo di riavvicinamento dei giovani alle tematiche della politica, uno strumento, comunque, molto più agevole ed indolore rispetto all’impegno ufficiale e responsabile in una realtà istituzionale, se pur piccola come una Circoscrizione.

La mia prima elezione al Consiglio Circoscrizionale di Scampia, avvenuta nell’ormai lontano ’97, ha segnato l’inizio di questo impegno, determinando il passaggio da un approccio idealistico e saltuario ad uno pratico e quotidiano. In altre parole, mentre ancora riflettevo sulle priorità che il “primo” esecutivo Prodi avrebbe dovuto dare alla sua azione di governo mi sono ritrovato, assieme ai miei colleghi, a gestire l’emergenza di alcuni abitanti di Scampia costretti ad una notte da sfollati in seguito all’abbattimento della prima vela.

A circa nove anni da quell’esperienza, mentre Prodi studia ancora da aspirante premier e le vele sono ancora in piedi, ho la convinzione di aver agito sempre con passione ed impegno, gli stessi che contribuirono a mitigare l’inesperienza e la difficoltà di quei giorni. Il bilancio, alla fine, è come sempre il risultato di luci ed ombre, successi e delusioni, ma accompagnato dalla consapevolezza agrodolce che nel nostro territorio, per gli errori storici che l’hanno generato e per quelli che ancora si commettono nel tentativo di ricostruirlo, i pochi successi portano dietro un valore di gran lunga più importante e significativo rispetto alle molteplici delusioni che spesso siamo costretti a subire e che, per fortuna, lasciano la marginalità e l’insulsaggine dei personaggi che ce le provocano.

Le Circoscrizioni vanno in soffitta e stanno per essere sostituite dalle Municipalità. Quali sono le differenze?

Finalmente anche nella nostra città il Consiglio Comunale ha deliberato la nascita di nuove e più efficienti forme di decentramento amministrativo e così, dal prossimo Maggio, i cittadini andranno alle urne per eleggere i componenti del Consiglio delle Municipalità e non più delle Circoscrizioni.

Le nuove realtà decentrate eserciteranno le loro competenze su territori più vasti (la nostra Municipalità comprenderà in un’unica area l’attuale territorio delle Circoscrizioni di Scampia, Chiaiano e Piscinola-Marianella), e godranno di un’ampia autonomia organizzativa. L’esercizio di una funzione decisionale garantirà la gestione più diretta e più vicina al cittadino relativamente alle problematiche di manutenzione urbana (strade, piazze, arredi urbani, mercati rionali,…), dei servizi socio-assistenziali, della scuola e delle attività scolastiche (trasporto e refezione), delle attività culturali e sportive (gestione impianti sportivi). In più le Municipalità manterranno una competenza propositiva (l’unica prerogativa delle vecchie Circoscrizioni) per la realizzazione di opere e strutture sul proprio territorio.

Naturalmente, e questa è l’altra grande innovazione, per l’espletamento di queste funzioni a ciascuna Municipalità saranno assegnate risorse umane, strumentali e soprattutto finanziarie, con economie che andranno ad incidere su una particolare voce del bilancio comunale.

L’attuale giunta comunale vanterà, pertanto, il merito di avere introdotto questa storica trasformazione. Tuttavia, un giudizio serio e complessivo non può prescindere dalla considerazione relativa all’estremo ritardo con la quale essa giunge, e dalle difficoltà che verranno dal fisiologico periodo di assestamento e dall’introduzione graduale delle significative innovazioni nell’attuale sistema amministrativo comunale.

Forse accanto alle “quote rosa” dovrebbero essere previste, e ancor più, le “quote giovani” nelle liste elettorali delle prossime elezioni.  Quello presente nelle Istituzioni sarebbe, comunque, un numero ristretto rispetto ai tanti giovani che abitano il nostro paese. Ma la politica ha un respiro ben più ampio dell’ambito dei partiti e delle Istituzioni. Bisogna risollecitare la passione autentica per il dibattito politico e l’ impegno generoso nelle diverse e variegate espressioni in cui si articola la vita civile. “Tutto ha a che fare con la politica, la questione è sapere cosa fare, come renderla un fattore di liberazione”.

                                                                                                            Aldo Bifulco

 

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Scampia non è tutta spine


Ho preso in prestito questo titolo dal mio amico Salvatore che nel riquadro a margine di pag.9 dell’ultimo numero di “Fuga di notizie” presentava Manuela Esposito, Miss tra le Miss.

Comincio là dove lui finisce. Per la verità a Scampia le spine non mancano, sono diffuse un po’ ovunque ed alcune sono ben appuntite ed assumono le sembianze…..di siringhe! Ma sapendo cercare tra i rovi si scoprono dei fiori di rara bellezza, dai colori tenui e dal profumo delicato.

Bisogna saperli scovare. E’ quello che da alcuni anni mi sono proposto con questa rubrica: cercare e dare voce alla preziosa “biodiversità floreale” che caratterizza la gioventù di Scampia. Aspettando che si aprano varchi nelle strategie politiche e nelle menti illuminate di tutti quelli che calano sporadicamente in questo Quartiere. Manuela è un fiore di Scampia che è riuscito ad imporsi, per la sua bellezza e la sua grazia, anche sulla ribalta nazionale ed internazionale e mi incuriosisce molto intervistarla anche perché rappresenta un ambito della mia ricerca poco esplorato.

Manuela puoi completare il quadro informativo relativo alla tua persona che è apparso su “Fuga di notizie”?

A soli 16 anni ho partecipato, ad Alassio, al concorso Miss Muretto, classificandomi prima. Alcuni anni dopo, nel 2002, ho partecipato al concorso di Miss Italia, sono risultata sesta, vincendo, però, la fascia di Miss Cinema e Miss” Chi”. Sono stata poi, unica rappresentante italiana, assieme a ragazze di venti paesi all’ultimo concorso internazionale Miss Atlantico, in Uruguay.

Dopo aver frequentato il Liceo linguistico, mi sono iscritta all’Università “Federico II” ed ora sto per laurearmi in Sociologia.

Chi ti ha avviata e come verso la strada dei Concorsi di bellezza? Qual è, in fondo, la motivazione che ha determinato questa scelta?

Sono una ragazza timida e riservata che rifugge ogni tipo di competizione, specie tra donne. La mia mentalità e la mia cultura sono, in sostanza, molto lontane da questo mondo. Ma la vita, si sa, spesso è guidata dal caso e ti trovi nel bel mezzo di un’esperienza per te inimmaginabile. Comunque attorno a me si è creato un drappello di parenti e di vicini che con una sapiente e costante strategia sono riusciti ad attenuare le mie paure e perplessità e spingermi letteralmente in questa avventura. Per la verità hanno, soprattutto, convinto mia mamma che ha stilato la domanda di iscrizione al concorso. C’è sempre una mamma dietro ad ogni Miss!

La motivazione che più di ogni altra ha sgretolato la mia resistenza è stata la possibilità di poter viaggiare e conoscere nuove realtà. Un sogno che trovava un possibile sbocco.

Il mondo dei Concorsi di bellezza mi sembra ovattato e l’atmosfera irreale, poco autentica. Tu che l’hai vissuto dall’interno cosa ci puoi dire?

L’esperienza di Miss Italia mi ha lasciato molto perplessa. Una competizione senza alcun valore. False amicizie e poi un’assurda guerra tra Nord e Sud. Di tutt’altro respiro è stata l’esperienza in Uruguay. Il confronto con culture diverse, molte sudamericane, che, tra l’altro, mi hanno permesso di saggiare la conoscenza del mio spagnolo, mi ha entusiasmato. La gara si è quasi dissolta in questa trama di relazioni. Con molte amiche e sorelle (un termine che non mi pare improprio)ho mantenuto i contatti e spero di poterle incontrare presto qui, a Napoli.

Leggi “Fuga di notizie”? Qual è il tuo rapporto con la lettura?

Qualche sguardo, senza approfondirmi. Mia madre, invece, legge questo giornale fino all’ultimo rigo. Ciononostante amo molto leggere, ma senza una preferenza particolare per qualche genere letterario. Comunque, prevalentemente narrativa.

Come potrai constatare in altra parte di questo numero, una delle iniziative culturali di maggiore successo del nostro Quartiere è il “Caffè letterario” dove si offre (oltre al caffè e qualche pasticcino) una miscela di letteratura e musica sapientemente armonizzata da Franco Maiello. E’ presente un consistente frammento del variegato mondo di Scampia, ma con una scarsa rappresentanza giovanile. Franco sarebbe felice di qualche suggerimento da parte di voi giovani. Sono sicuro, comunque, che la tua presenza…ci garantirebbe il pieno di presenza giovanile.

                                                                                Aldo Bifulco

 

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Una leggera brezza dall’Est.

Una leggera brezza dall’Est.

Vengono a rubarci il lavoro; perché non se ne vanno nei loro paesi?” questa frase riversata con fastidio, alcuni giorni fa, sull’esterrefatto Safanne (l’onesto e dignitoso immigrato africano di cui abbiamo parlato tempo fa in questa rubrica), da una “distinta borghesuccia ” del quartiere, mentre riempiva il carrello al supermercato, mi ha fatto sobbalzare. Con modi non proprio garbati ho manifestato la mia contrarietà a questo atteggiamento argomentandola dal punto di vista etico, culturale e politico.

E’ singolare che mentre anche nel Nord Est si chiede di rivedere le quote di lavoratori stranieri per esigenze economiche, ogni tanto, in alcuni contesti, emergono i tratti di xenofobia latente imputabili, forse, più che a ragioni politiche, a quella “paura tribale”, presente nel profondo di chi, colpito dalla “sindrome dell’assedio”, teme di perdere la propria identità.

Il lavoro è, comunque, un diritto ed anche un dovere universale dell’uomo e dovrebbe prescindere da qualsiasi questione politica, razziale e religiosa.

Piuttosto bisognerebbe discutere di “quale lavoro” e di “quanto lavoro”.

Alle prime ore del mattino, quando mi reco a scuola, lungo il percorso, ad ogni rotonda, ad ogni incrocio intercetto filari di giovani “neri” in attesa di una chiamata: da, qualche tempo, ho notato anche in quel contesto, qualche rara presenza “bianca”. I tratti somatici tradiscono la provenienza dall’Est dell’Europa e vanno a sommarsi a quel drappello di donne che, già da tempo, anche nel nostro quartiere sono state assunte come “badanti”. Termine orribile che il comitato nazionale di bioetica, come abbiamo appreso, con nostro grande sollievo, ha chiesto di sopprimere. Però non è un termine innocuo; a mio parere nasconde una richiesta non molto confortante, di bassa qualità…..”badare” è molto diverso dal “prendersi cura”!

La caduta del muro di Berlino ha aperto le frontiere. Più che Dio, in una direzione, è entrato il mercato. Dall’altra direzione un vento impetuoso ha trascinato in tutta Europa, grosse fette di popolo alla ricerca di un’occupazione. Solo una leggera brezza ha, per ora, investito le nostre zone.

Nelle mie sistematiche soste in pescheria ho notato una presenza discreta, defilata, un giovane alto, chiaramente dell’Est, intento a pulire alici, orate, polpi, seppie, gamberi….che con una certa approssimazione tassonomica chiamiamo “pesce”.

Se non ti dispiace vorrei fare quattro chiacchiere con te. Ci dai qualche notizia sul tuo conto?

Mi chiamo Michele Balas, ho 20 anni e sono nato a Bucarest in Romania. Dopo aver acquisito il diploma di scuola superiore ho deciso di venire in Italia in cerca di lavoro ed ho lasciato a casa i miei genitori e mia sorella.

Quando hai lasciato la Romania? Com’è il dopo Ceaucescu?

Sono circa due anni che ho lasciato Bucarest ed ero troppo piccolo per ricordare i tragici avvenimenti di quegli anni. Si avverte un certo fermento, la capitale è un cantiere per abbattere i palazzi memoria del passato e per costruire nuovi palazzi in modo da prepararsi bene all’ingresso nell’Unione europea del 2007. Ma quando ho fatto la stessa domanda alla gente anziana, alla gente del popolo, spesso ho avuto questa risposta:”C’è più libertà, ma non ci sono più soldi!”

Sotto lo sguardo vigile e bonario di Stefano, il padrone della Pescheria, gli chiedo ancora: “Come ti trovi qui e come sei capitato a fare questo lavoro?”

Mi trovo bene anche se questo non penso debba essere il mio lavoro definitivo. Sono arrivato per caso e grazie all’aiuto di Stefano ho imparato a pulire con accortezza e celerità il pesce meritando gli elogi di parecchi clienti. Insomma il pesce per me non ha più segreti.

Qualche volta in Romania sono andato a pescare nel Mar Nero ed ho preso (sarà poi vero?) lo stesso pesce che trovate sul bancone.

Il banco con quei colori e quella frescura cattura immediatamente l’attenzione del cliente, ma se lo sguardo sale leggermente verso destra si trova una poesia firmata da un poeta locale, Ciro Buonocore, dal titolo “O curallo do mare” che è anche il nome della Pescheria.

Una poesia che Michele legge spesso e dice di comprenderla bene perché ormai è padrone anche della lingua napoletana.

 

Ncopp’ a stu banc spase o’ pesce frisco stà

ca manco nu pittore, ncoppe ‘a na tela, sapesse disegnà.

Guardandolo all’uocchi vuost, vedè ve pare, nu scenario e mare.

 

A cchiorme arrivano client tutt’e juorn

uommene, femmene, giovani e anziani

don Ciro, don Alfonso, don Peppe e don Aniello

trattano tutti quanti a Stefano comm’a nu cumpagniello.

Mentre sceglie o pesce, nu state a guardà o costo,

si vuie pigliate e spicole, alici oppure o baccalà,

Stefano da llà, già sape cadd’a fa,

doppe ca va l’ha tagliato a piezzo,

ve fa sparagna co peso, e pure n’copp’o prezzo.

 

Si mo vuie, sapè vulite sta piscaria

comme sta scritto for, pecchè si chiamm’accussì,

allora io mo vo conto, stateme a sentì.

Aggia sentute e dicere, da cierta gente e’ mare,

ca na bella sera, a luna pe se specchià a mare

a copp’o cielo e Napule, perdette nu curallo

da cullana ca purtava attuorno o cuollo.

 

Sotto ce stevo o viento ca pazziava cu l’acqua,

cuanno, all’improvviso, o poco e brezza,

vuttanno stu curallo proprio int’a na rezza.

O juorn appresso, o piscatore, ancora frisco e rezza,

spannette n’coppo o banco sta ricchezza,

e miezz’e culture, e migliaro e pisce,

e tutte specie, gruosse ‘e piccirilli,

 

luceva stu curallo cchiù de ciento perle

e mo, m’avita credere, si vuie ccà foro

venite pure quando è chiuso a sera,

sentite addore e mare, e o canto de sirene.

 

Dopo questo bagno purificatore nell’acqua di mare vorrei soltanto ricordare che il mare unisce, è praticamente senza confini; nella nostra mente, nella nostra cultura si è sedimentato,invece, un concetto di identità aggressivo ed escludente che ci spinge “a battere il pugno sul tavolo contro gli estranei che sono o si affacciano tra noi”. E ciò è l’antitesi del messaggio di fratellanza universale proposto dal Cristo. Un messaggio che esclude la categoria dello straniero, un messaggio di condivisione. Anche il lavoro andrebbe condiviso!

Aldo Bifulco

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“L’UOMO E IL LEGNO


Per molti decenni attorno all’assunto di ridurre il cosmo a espressione di quel gioco di forze, di lotte violente tese alla sopravvivenza del più forte, si è sviluppato un sistema di pensiero che ha connotato anche la politica e l’economia. E’ difficile negare che il teatro della vita sia attraversato dalla predazione e che la morte sia spesso una lacerazione ineliminabile per far rifiorire nuova vita.

La Natura appare così come uno scenario dove prosperano gli “ egoismi”.

Da alcuni anni, però, la ricerca biologica ha aperto nuove prospettive ed una visione nuova si affianca a quella già consolidata. Con mia grande soddisfazione ho letto  sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Nature”, che, studiando ed analizzando organismi biologici come il lievito e le vespe, si è potuto constatare che in natura la cooperazione è possibile e in certi casi è la scelta migliore. Ci sono, insomma, delle comunità in cui l’altruismo è la regola; tutti finiscono  per guadagnare quello che hanno speso in termini di aiuto reciproco..

Musica per le mie orecchie, anche se da tempo sostengo che la cooperazione non debba essere solo una scelta conveniente, ma anche il frutto di una scelta consapevole e di una spiritualità emergente.

COOPERAZIONE  è una delle parole chiave su cui fondare la società del futuro ed in tal senso caratterizzare una delle espressioni più importanti della vita dell’uomo che è il lavoro.

“L’Uomo e il legno”, un binomio suggestivo, carico di tensione poetica, è la denominazione di una cooperativa arl nata nel 1995 e approdata da qualche anno a Scampia, in Viale della Resistenza (tel.081/5435924 e-mailcoopluomoeillegno@libero.it).

Nel curriculum della cooperativa si legge:”Lo scopo della cooperativa è quello di esaltare la centralità dell’Uomo nel lavoro e attraverso il lavoro attivare, sostenere e prevenire forme e situazioni mortificanti e lesive della dignità e del rispetto dell’Uomo, oltre che per favorirne l’integrazione sociale”.

A Daniele Santoro, giovane socio della cooperativa, chiediamo alcune informazioni personali.

Ho ventitre anni e la licenza di terza media. In seguito alla morte di mia mamma, l’assistente sociale mi mise in contatto con la cooperativa, utilizzando il progetto  del Comune di Napoli“Ragazzi Ancora” (legge 216). Per un certo tempo ho lavorato solo di mattina come apprendista e quando mi fu proposto di allungare la giornata lavorativa anche al pomeriggio io risposi “ Basta che mi date i soldi!”. Dopo cinque anni ho acquisito conoscenze e competenze ed ora sono un socio effettivo.

Come vivi questa esperienza lavorativa all’interno della cooperativa “l’Uomo e il legno”?

Senza esagerare per me è come una famiglia. Attualmente la cooperativa è formata dal Presidente Enzo Vanacore, una segretaria e sei operatori che svolgono tutte le varie mansioni senza specializzazioni particolari, cercando di aiutare quelli con minore esperienza; al mattino vengono dei ragazzi che frequentano un corso di formazione. Mangiamo insieme (c’è una cucina pienamente funzionante) e talvolta giochiamo anche al calcio insieme.

Quali sono i prodotti che realizzate? Come vi trovate a Scampia? Che rapporti avete con la coop.La Roccia presente nel Centro Hurtado? Quali le attese e le speranze?

Realizziamo mobili e tutti i prodotti tipici dell’artigianato del legno. Facciamo anche manutenzione e restauri. All’occorrenza siamo disponibili anche ad effettuare traslochi. Progettiamo e allestiamo mostre e negozi. Per me che vengo da Barra, Scampia è un po’ lontana, ma la struttura è spaziosa ed attrezzata (anche se alcuni tubi andrebbero riparati); abbiamo anche organizzato un piccolo orto. Per ora i rapporti con la gente sono buoni, all’insegna del rispetto reciproco e con quelli della Roccia ci siamo scambiati qualche favore, ma non abbiamo un rapporto sistematico.

Non mi dispiacerebbe guadagnare un po’ meglio, ma è anche molto importante migliorare la qualità della vita e del lavoro. Speriamo anche di avere le risorse per occupare altri giovani.

Avete mai pensato di specializzarvi in metodologie di lavoro “ecologicamente compatibili”? E magari  organizzare un ciclo completo che partendo dalla  raccolta di legno usato (pallets, mobili vecchi, cassette da frutta, potatura di alberi, imballaggi, residui di lavorazione ecc.) si possa arrivare fino alla produzione di “pannelli ecologici”?

Di questo è meglio che parli con Enzo…e mi spinge verso il grosso barbuto Presidente Vanacore che non si lascia sfuggire l’occasione.

In tutti i lavori di restauro già adesso usiamo solo prodotti ecologici ed entro la fine dell’anno saremo attrezzati per  usare esclusivamente vernici ecologiche in tutte le altre lavorazioni.

Siamo tra i pochi a smaltire i rifiuti differenziandoli ed affidandoli ad una ditta specializzata…..e ciò costa! Per quanto riguarda il ciclo completo dai rifiuti del legno ai pannelli ci abbiamo pensato, abbiamo discusso con la Regione Campania ed abbiamo contatti con una ditta bolognese. Attualmente il nostro Know how ci consentirebbe di arrivare fino alla fase della macinazione, d’altra parte per il completamento del ciclo ci vorrebbero discreti capitali iniziali oppure il coinvolgimento sul territorio di qualche operatore del settore. Intanto abbiamo intenzione di proporre alla Municipalità di avviare questo progetto di raccolta e macinazione……magari anche con l’aiuto della Legambiente!

Ho provato enorme piacere ritrovare Enzo Vanacore  a Scampia. Lo ricordo negli anni ottanta, quando faceva parte di un piccolo gruppo di giovani che si avvicinarono all’esperienza della Comunità del Cassano e a quella politico –culturale del Circolo “Le quattro giornate”. Allora sostenemmo la lotta dei disoccupati organizzati del Gruppo 01. Oggi le parole d’ordine e le persone di questo movimento mi convincono di meno, auspicherei, invece,  la nascita di una rete tra esperienze cooperativistiche per un approccio al lavoro meno individualistico e più creativo.

                                                                                   Aldo Bifulco

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