A SPASSO CON ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA di S. Tofano

A SPASSO CON  ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA   di S. Tofano

 

Scampia nell’immaginario mediatico è la metafora del degrado, essendo immediatamente associato a spaccio, droga e ammazzamenti vari. Eppure, a conoscerlo, il quartiere è altro. O, meglio, è anche altro.

C’è tanto verde, tanta vita associata e, soprattutto, ci sono tante persone, alle quali non si può non voler bene.

Aldo è una di queste.

La prima volta che Emilio lo vide era una domenica d’autunno e l’impressione più immediata fu che si trattasse di un folle: era lì fermo davanti a un corbezzolo e sembrava che stesse parlandogli.

Emilio si fermò a guardarlo e dopo un po’ ebbe la sensazione che l’albero gli rispondesse, che l’uomo e l’albero fossero immersi in una tenera conversazione.

“Il sole ottobrino deve avermi fatto un brutto scherzo – pensò Emilio – Mi sa che il folle, se c’è un folle, sono io ”

Aldo era uscito di buon’ora per adempiere al suo rituale “viaggio” a bordo di quel che considerava il “più meraviglioso e sconosciuto” dei mezzi di trasporto: i piedi.

Era convinto che passeggiare a piedi fosse l’unico modo per stare “con” e “tra” la gente, anche se, a dire il vero,  a Scampia di gente per le strade non è che ce ne fosse molta: c’erano più cani randagi che persone.

Del resto, dove e perché la gente dovrebbe passeggiare?

Più che a un quartiere, Scampia fa pensare a un deserto, popolato di giganteschi e fallici mostri di cemento pronti a ghermirti coi loro artigli, e le sue strade, più che a strade, fanno pensare a minacciose “lingue” di asfalto dalle quali fuggire, pigiando l’acceleratore a più non posso.

Mancano del tutto: piazze, negozi, vetrine, cinema, teatri, librerie e, soprattutto, un riparo dal sole e dalla pioggia.

Aldo tutto questo lo sapeva, ma “sentiva” come una missione dentro, che nasceva da un innato amore per “l’altro”: “vivere” i luoghi, per quanto marginali o periferici, “creando” relazioni.

Di conseguenza, tutto entrava in relazione con il suo sé più profondo, dal verde agli uccelli, dall’uomo al mistero del nostro transitare nel mondo.

E i luoghi d’incontro, dove si concretizzavano le relazioni, erano i “crocicchi”.

La parrocchia era un crocicchio, la sede del suo circolo ambientalista era un crocicchio, il centro socio-culturale era un crocicchio. Ogni luogo, dove poteva mettersi in relazione con “l’altro”, era un crocicchio.

Giunto all’edicola, altro crocicchio, fu attratto da un branco di cani randagi, diversi l’uno dall’altro per razza, taglia e colori.

Pensò che le “bestie” non hanno le nostre remore nell’accogliere “l’altro”, ma dovette subito ricredersi, perché, proprio mentre realizzava tale convincimento, quello che doveva essere il capo del branco ringhiò e si avventò al collo di un nuovo venuto, che aveva cercato di aggregarsi al gruppo.

Poi, come accadeva nell’era paleolitica, quando branchi di sciacalli seguivano le orme dei cacciatori nomadi per rimediare striminziti avanzi, il branco si mise a seguire un operatore ecologico, che si trascinava con scopa e carrello.

Al passaggio di un’auto, alcuni randagi si misero ad abbaiare contro le ruote del veicolo.

Aldo si chiese perché i cani avversassero tutto ciò che rotola e, senza darsi risposta, proseguì il suo “viaggio”.

Emilio, a distanza, continuava a seguirlo e a osservarlo.

Era autunno inoltrato e una cospicua pioggia di foglie ingiallite era andata a formare sui marciapiedi a lato del lungo vialone un soffice tappeto, che sollecitava una sensazione di quiete, che invitava al riposo.

Aldo si fermò davanti a uno dei tanti bagolari, da cui erano cadute le foglie, e gli sorrise per ringraziarlo di quella “pace”.

Amava così tanto le piante che si soffermava come incantato a rimirarle: le conosceva ad una ad una e gli piaceva chiamarle per nome.

Lo addolorava l’indifferenza dei residenti, non si capacitava della loro scarsa sensibilità.

“Il verde è vita!” diceva.

“Come si fa – si chiedeva – a non distinguere una pianta dall’altra? A dire che una pianta vale l’altra? Sono forse gli uomini uno uguale all’altro? Lo sono i cani?”

Lo inorgogliva il dato che indicava Scampia come il quartiere più “verde” della città, anche se qualche amico, scherzando, gli chiedeva se il dato, invece che alla flora, si riferisse alle tasche dei residenti.

Eccolo dunque fermo ad osservare la “tuta mimetica”, disegnata dalle foglie parte color ruggine e parte color verde smorto dei platani di via Bakù e poi ad inspirare gli odori e apprezzare i fruscii e i colori dei tamerici abbruniti di un parco poco distante.

E ancora a godere dei siliquastri dalle foglie cuoriforme, chiazzate di giallo e impreziosite dal rosso dei fiori, o dei gingko biloba, degli eucalipti, dei lecci e delle magnolie, dei cedri, dei pini e delle palme.

L’agrifoglio presentava già le caratteristiche bacche e lui, accarezzandole, ricordò che di lì a poco era di nuovo Natale.

“Più avanzano gli anni – notò – e più il tempo scorre veloce. La vita il più delle volte sembra sadicamente contraddire i nostri desideri!”

Il corbezzolo, che in autunno vede un’esplosione di colori,  col bianco dei fiori, il rosso dei frutti e il  verde delle foglie, gli ricordò la nostra bandiera.

“Non per niente il corbezzolo è conosciuto come l’albero risorgimentale!” disse fra sé.

“Quanti colori!” esclamò Emilio, avvicinandosi.

“Già… – rispose Aldo – peccato che nessuno se ne accorga!”

“Quando si pensa alle periferie, il solo colore che viene in mente è il grigio… ”

“Perché siamo soliti annegare nel luogo comune…”

“Permetta che mi presenti… Emilio!”

“Diamoci del tu… io sono Aldo!”

Presentatisi, i due ripresero a camminare e si diressero verso la villa comunale, dove Aldo voleva far “vivere” al “nuovo” amico l’ esperienza per l’altro mai esperita del birdwatching, dell’osservazione degli uccelli nel loro ambiente naturale .

Appostatisi, poterono ammirare il ticchettio caratteristico, che accompagna il richiamo del pettirosso, e lo tzi tzi delle pispole, uccelli terricoli molto simili alle allodole, come pure il volo simile a quello della farfalla del verzellino.

All’apparire di un occhiocotto, Emilio lo scambiò per una capinera, ma Aldo subito lo corresse: “Si tratta di un occhiocotto. Sia l’occhiocotto che la capinera hanno il capo nero e un piumaggio, che va dal grigio cenere al grigio scuro, ma il primo presenta un caratteristico anello orbitale rosso attorno agli occhi. Ambedue sono insettivori, si cibano di insetti”

Un saltipalo volò dal palo della luce, dove si era acquattato, e puntò come un falco sulla preda, che aveva adocchiato, divorandola.

“E’ un saltipalo – spiegò Aldo – e si ciba anche lui di insetti”

Ogni volta che passava un uccello, Aldo lo indicava e ne ripeteva il nome.

E di uccelli ne passarono tanti: tardi, storni, verdoni, passeri, merli, perfino un codirosso spazzacamino dalla livrea nero fuliggine con strisce bianche sulle ali e coda rosso mattone.

Aldo evidenziò che le strisce indicavano la sua appartenenza al genere maschile.

“Scampia ha innegabili problemi di vivibilità, ma la ricchezza di flora e fauna è la spia evidente che l’unico responsabile del degrado, che qui vige, è l’uomo!”

“Non mi hai ancora detto il cognome” disse Emilio.

“Se è per questo nemmeno tu. Comunque, Bifulco. Il mio cognome è Bifulco”

Emilio lo guardò ed ebbe un attimo di pausa.

“Sei tu allora che hai scritto quel libro sulla storia di un circolo di periferia?”

“L’Angolo della gru: dieci anni di storia di un circolo di periferia?”

“Esatto!”

“No, ne sono solo uno degli autori”

“Sì, ma sei quello che s’è inventato la storia dei “penultimi” da contrapporre agli “ultimi”!”

“Non esageriamo: ho solo detto che a Scampia non c’è solo la sofferenza di quelli che non hanno studiato, non hanno casa e lavoro, ma anche la sofferenza di quei giovani che pur avendo acquisito cultura, competenze, valori, titoli, non trovano dove spendere la propria sensibilità relazionale, finendo spesso vittime della droga”

“Hai scritto che essi sono più fragili degli altri…”

“Ed è vero!”

“A me sembra un paradosso…”

“Perché?”

“E’ come dire che è meglio essere ultimi che penultimi…”

“Lascia perdere: gli ultimi sono sempre ultimi!…”

“… ma un giorno saranno primi”

“Già!… Speriamo solo che i penultimi saranno almeno secondi!”  

  

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