Archive for novembre, 2008

A SPASSO CON ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA di S. Tofano

A SPASSO CON  ALDO TRA I COLORI DI SCAMPIA   di S. Tofano

 

Scampia nell’immaginario mediatico è la metafora del degrado, essendo immediatamente associato a spaccio, droga e ammazzamenti vari. Eppure, a conoscerlo, il quartiere è altro. O, meglio, è anche altro.

C’è tanto verde, tanta vita associata e, soprattutto, ci sono tante persone, alle quali non si può non voler bene.

Aldo è una di queste.

La prima volta che Emilio lo vide era una domenica d’autunno e l’impressione più immediata fu che si trattasse di un folle: era lì fermo davanti a un corbezzolo e sembrava che stesse parlandogli.

Emilio si fermò a guardarlo e dopo un po’ ebbe la sensazione che l’albero gli rispondesse, che l’uomo e l’albero fossero immersi in una tenera conversazione.

“Il sole ottobrino deve avermi fatto un brutto scherzo – pensò Emilio – Mi sa che il folle, se c’è un folle, sono io ”

Aldo era uscito di buon’ora per adempiere al suo rituale “viaggio” a bordo di quel che considerava il “più meraviglioso e sconosciuto” dei mezzi di trasporto: i piedi.

Era convinto che passeggiare a piedi fosse l’unico modo per stare “con” e “tra” la gente, anche se, a dire il vero,  a Scampia di gente per le strade non è che ce ne fosse molta: c’erano più cani randagi che persone.

Del resto, dove e perché la gente dovrebbe passeggiare?

Più che a un quartiere, Scampia fa pensare a un deserto, popolato di giganteschi e fallici mostri di cemento pronti a ghermirti coi loro artigli, e le sue strade, più che a strade, fanno pensare a minacciose “lingue” di asfalto dalle quali fuggire, pigiando l’acceleratore a più non posso.

Mancano del tutto: piazze, negozi, vetrine, cinema, teatri, librerie e, soprattutto, un riparo dal sole e dalla pioggia.

Aldo tutto questo lo sapeva, ma “sentiva” come una missione dentro, che nasceva da un innato amore per “l’altro”: “vivere” i luoghi, per quanto marginali o periferici, “creando” relazioni.

Di conseguenza, tutto entrava in relazione con il suo sé più profondo, dal verde agli uccelli, dall’uomo al mistero del nostro transitare nel mondo.

E i luoghi d’incontro, dove si concretizzavano le relazioni, erano i “crocicchi”.

La parrocchia era un crocicchio, la sede del suo circolo ambientalista era un crocicchio, il centro socio-culturale era un crocicchio. Ogni luogo, dove poteva mettersi in relazione con “l’altro”, era un crocicchio.

Giunto all’edicola, altro crocicchio, fu attratto da un branco di cani randagi, diversi l’uno dall’altro per razza, taglia e colori.

Pensò che le “bestie” non hanno le nostre remore nell’accogliere “l’altro”, ma dovette subito ricredersi, perché, proprio mentre realizzava tale convincimento, quello che doveva essere il capo del branco ringhiò e si avventò al collo di un nuovo venuto, che aveva cercato di aggregarsi al gruppo.

Poi, come accadeva nell’era paleolitica, quando branchi di sciacalli seguivano le orme dei cacciatori nomadi per rimediare striminziti avanzi, il branco si mise a seguire un operatore ecologico, che si trascinava con scopa e carrello.

Al passaggio di un’auto, alcuni randagi si misero ad abbaiare contro le ruote del veicolo.

Aldo si chiese perché i cani avversassero tutto ciò che rotola e, senza darsi risposta, proseguì il suo “viaggio”.

Emilio, a distanza, continuava a seguirlo e a osservarlo.

Era autunno inoltrato e una cospicua pioggia di foglie ingiallite era andata a formare sui marciapiedi a lato del lungo vialone un soffice tappeto, che sollecitava una sensazione di quiete, che invitava al riposo.

Aldo si fermò davanti a uno dei tanti bagolari, da cui erano cadute le foglie, e gli sorrise per ringraziarlo di quella “pace”.

Amava così tanto le piante che si soffermava come incantato a rimirarle: le conosceva ad una ad una e gli piaceva chiamarle per nome.

Lo addolorava l’indifferenza dei residenti, non si capacitava della loro scarsa sensibilità.

“Il verde è vita!” diceva.

“Come si fa – si chiedeva – a non distinguere una pianta dall’altra? A dire che una pianta vale l’altra? Sono forse gli uomini uno uguale all’altro? Lo sono i cani?”

Lo inorgogliva il dato che indicava Scampia come il quartiere più “verde” della città, anche se qualche amico, scherzando, gli chiedeva se il dato, invece che alla flora, si riferisse alle tasche dei residenti.

Eccolo dunque fermo ad osservare la “tuta mimetica”, disegnata dalle foglie parte color ruggine e parte color verde smorto dei platani di via Bakù e poi ad inspirare gli odori e apprezzare i fruscii e i colori dei tamerici abbruniti di un parco poco distante.

E ancora a godere dei siliquastri dalle foglie cuoriforme, chiazzate di giallo e impreziosite dal rosso dei fiori, o dei gingko biloba, degli eucalipti, dei lecci e delle magnolie, dei cedri, dei pini e delle palme.

L’agrifoglio presentava già le caratteristiche bacche e lui, accarezzandole, ricordò che di lì a poco era di nuovo Natale.

“Più avanzano gli anni – notò – e più il tempo scorre veloce. La vita il più delle volte sembra sadicamente contraddire i nostri desideri!”

Il corbezzolo, che in autunno vede un’esplosione di colori,  col bianco dei fiori, il rosso dei frutti e il  verde delle foglie, gli ricordò la nostra bandiera.

“Non per niente il corbezzolo è conosciuto come l’albero risorgimentale!” disse fra sé.

“Quanti colori!” esclamò Emilio, avvicinandosi.

“Già… – rispose Aldo – peccato che nessuno se ne accorga!”

“Quando si pensa alle periferie, il solo colore che viene in mente è il grigio… ”

“Perché siamo soliti annegare nel luogo comune…”

“Permetta che mi presenti… Emilio!”

“Diamoci del tu… io sono Aldo!”

Presentatisi, i due ripresero a camminare e si diressero verso la villa comunale, dove Aldo voleva far “vivere” al “nuovo” amico l’ esperienza per l’altro mai esperita del birdwatching, dell’osservazione degli uccelli nel loro ambiente naturale .

Appostatisi, poterono ammirare il ticchettio caratteristico, che accompagna il richiamo del pettirosso, e lo tzi tzi delle pispole, uccelli terricoli molto simili alle allodole, come pure il volo simile a quello della farfalla del verzellino.

All’apparire di un occhiocotto, Emilio lo scambiò per una capinera, ma Aldo subito lo corresse: “Si tratta di un occhiocotto. Sia l’occhiocotto che la capinera hanno il capo nero e un piumaggio, che va dal grigio cenere al grigio scuro, ma il primo presenta un caratteristico anello orbitale rosso attorno agli occhi. Ambedue sono insettivori, si cibano di insetti”

Un saltipalo volò dal palo della luce, dove si era acquattato, e puntò come un falco sulla preda, che aveva adocchiato, divorandola.

“E’ un saltipalo – spiegò Aldo – e si ciba anche lui di insetti”

Ogni volta che passava un uccello, Aldo lo indicava e ne ripeteva il nome.

E di uccelli ne passarono tanti: tardi, storni, verdoni, passeri, merli, perfino un codirosso spazzacamino dalla livrea nero fuliggine con strisce bianche sulle ali e coda rosso mattone.

Aldo evidenziò che le strisce indicavano la sua appartenenza al genere maschile.

“Scampia ha innegabili problemi di vivibilità, ma la ricchezza di flora e fauna è la spia evidente che l’unico responsabile del degrado, che qui vige, è l’uomo!”

“Non mi hai ancora detto il cognome” disse Emilio.

“Se è per questo nemmeno tu. Comunque, Bifulco. Il mio cognome è Bifulco”

Emilio lo guardò ed ebbe un attimo di pausa.

“Sei tu allora che hai scritto quel libro sulla storia di un circolo di periferia?”

“L’Angolo della gru: dieci anni di storia di un circolo di periferia?”

“Esatto!”

“No, ne sono solo uno degli autori”

“Sì, ma sei quello che s’è inventato la storia dei “penultimi” da contrapporre agli “ultimi”!”

“Non esageriamo: ho solo detto che a Scampia non c’è solo la sofferenza di quelli che non hanno studiato, non hanno casa e lavoro, ma anche la sofferenza di quei giovani che pur avendo acquisito cultura, competenze, valori, titoli, non trovano dove spendere la propria sensibilità relazionale, finendo spesso vittime della droga”

“Hai scritto che essi sono più fragili degli altri…”

“Ed è vero!”

“A me sembra un paradosso…”

“Perché?”

“E’ come dire che è meglio essere ultimi che penultimi…”

“Lascia perdere: gli ultimi sono sempre ultimi!…”

“… ma un giorno saranno primi”

“Già!… Speriamo solo che i penultimi saranno almeno secondi!”  

  

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….non una vera recensione, ma sparse considerazioni. Lello Del Mondo

 

Il giardino del liceo. Un ponte tra le generazioni.

 

….non una vera recensione, ma sparse considerazioni.

 

 

“Cura, dono, gratuità, responsabilità nell’uso delle risorse, accoglienza, ascolto, pace, bellezza, spiritualità, sobrietà……come strutture portanti di questo ponte, ossia, la preziosa eredità che ogni generazione lascia a quella successiva”.

Potrebbe essere questo un possibile sottotitolo del libro, dato che a me pare che sia questo il suo nucleo centrale. Da questo punto di vista, quindi, l’esperienza della realizzazione del giardino è stata molto di più di un’esperienza didattica, sia pure importante ed interessante, è stato un vero, autentico, forte percorso di formazione, di educazione, di crescita …….un apprestare il terreno ad una nuova civiltà.

Tutto ciò, a mio avviso, è profondamente “ecologico” cioè proprio di una visione ecologista della vita e, contemporaneamente, frutto di una profonda e sincera spiritualità che consente di oltrepassare gli spazi angusti e limitati, a volte pericolosamente gretti e poveri, di una scienza forzatamente meccanicista e riduzionista.

Direi che il libro appartiene al genere dell’autobiografia, anche se in primo piano non c’è la vita dell’autore ma il racconto “emotivo, razionale e non sequenziale” di ciò che è accaduto dal giorno “della consegna di un mausoleo grigio sperduto in un vasto deserto di erbacce”alla realizzazione del giardino, affidato oggi alle cure di studenti ed ex-studenti riuniti in associazione.

La narrazione non è mai una cronaca asettica di quanto visto e vissuto; essa è in ogni momento ricca di emozioni, di sentimenti, di considerazioni che offrono altrettanti spunti di riflessione. Per il calore umano, per l’amore verso la propria Terra, per la meravigliosa quantità di volti che vi ho trovato, questa autobiografia mi ha fatto tornare in mente un’altra autobiografia:”Confesso che ho vissuto” di Pablo Neruda.

Io, mio carissimo Aldo, considero questo tuo libro un regalo, un dono: il racconto di una vita vissuta con umiltà, amore verso il prossimo, speranza di un futuro migliore. Forse ci hai dato una delle cose più care per te: una parte di quello che la vita ti ha insegnato.

Un abbraccio, Lello.

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recensione www.fuoricentroscampia.it Mario Corbo

Il giardino del Liceo: quando emozioni vere ed idee forti diventano scrittura
Di Mario Corbo
 
di: Mario Corbo
 
Un libro splendido, il Giardino del Liceo di Aldo Bifulco, che getta immediatamente un “ponte” verso l’animo del lettore. Emozionante ed anche avvincente, racconta un’esperienza didattica – l’impianto di un giardino in un terreno brullo circostante ad un Liceo della provincia di Napoli – che ha unito nel “pensare” e nel “fare” alcune generazioni di studenti e docenti nell’arco di quasi un trentennio. La magia del libro è nel modo in cui l’esperienza è raccontata. L’autore, la voce narrante, racconta prelevando dal flusso della memoria alcune “gemme”, che si trasformano senza filtri in una scrittura avvolgente, in grado di restituire a pieno l’originaria densità emozionale. E’ un libro sulla “relazione”, che racconta relazioni significative fra persone e con la natura e crea nuove “relazioni”, coinvolgendo il lettore che si sente parte di quel Tutto che, pagina dopo pagina, il testo disegna con plastica evidenza.L’immagine dei protagonisti dei singoli capitoli si delinea sempre e solo nella relazione con l’altro e con la natura. Il racconto li coglie nella loro interazione rispetto al contesto umano e ambientale in cui hanno operato, ma riesce anche a farli interagire fra di loro, a renderli coevi, annullando la distanza temporale e generazionale che in realtà li connota. Il risultato è un grande equilibrio narrativo da cui traluce “armonia”, finanche nella descrizione dei conflitti. L’armonia della narrazione riflette l’armonia dell’animo dell’autore, che conferisce unitarietà a fatti avvenuti in tempi diversi e lontani, le cui tracce non sono andate disperse solo per la disposizione all’accoglienza, che fa di Aldo una persona speciale. Ne viene fuori, pertanto, un testo speciale: poetico e riflessivo, avvincente come un romanzo e, nello stesso tempo, rigorosamente scientifico, ricco di spunti pedagogici e filosofici, che delineano una visione del mondo pienamente laica, ma pervasa da una profonda spiritualità.L’esperienza “contingente” del giardino didattico, nonostante non sia mai presentata dall’autore come modello, diventa di fatto “esperienza emblematica”, carica di significati pedagogici nuovi ed alternativi. Una pedagogia “scomoda” che, fondendo teoria e prassi, relativizza la parola astratta trasmessa solo ex cathedra, a vantaggio di una parola, strumento dell’azione, che provoca e, nell’interazione, acquista significati plurimi. Una pedagogia “scomoda” che, facendo propria la logica del “dono” e dell’impegno “gratuito” e disinteressato, mentre costruisce intorno a sé una rete virtuosa di relazioni formative, interroga in profondità, fino alla provocazione, la coscienza di quelli, e non sono pochi, che misurano il loro impegno nella scuola in termini meramente quantitativi e retributivi. Fatta salva, naturalmente, la legittima pretesa ad una retribuzione dignitosa ed adeguata da parte dei docenti, è inaccettabile che essa diventi un “alibi” che giustifichi l’immobilismo e la rassegnazione. Le riforme vere non provengono mai dall’alto, ma sono sempre il risultato dell’incontro fecondo tra saggi ed equilibrati cambiamenti strutturali proposti dal legislatore e gli innumerevoli fermenti di creatività nati dal basso, frutto dell’impegno di chi vuole davvero una scuola diversa. Senza questo humus, anche la migliore delle riforme sarebbe destinata al fallimento o a produrre risultati sterili. L’esperienza descritta nel libro di Aldo, nella sua peculiare emblematicità, indica agli operatori della scuola la via maestra da seguire e a tutti i lettori una visione del mondo centrata sull’accoglienza e il rispetto per ogni forma di vita. L’amore per la vita e il senso di responsabilità verso tutti gli esseri viventi, straordinariamente diversi e insieme profondamente simili e interdipendenti, costituiscono il motore ideale ed emozionale da cui scaturiscono le riflessioni più propriamente filosofiche. Esse definiscono i contorni di un universo “partecipativo”, le cui sorti future sono sempre più legate all’imperativo categorico di un “patto fra le generazioni”. Un “macrouniverso” le cui dinamiche sono state sperimentate e vissute nel “microuniverso” di un giardino, frammento del Tutto, le cui sorti sono anch’esse legate ad un patto non scritto nel fluire del tempo.Concludendo, vorrei “contraddire” Aldo solo su un punto. A pagina 61 egli afferma: “ho sempre tenuto a freno la dolcezza, la tenerezza e ne ho accumulata tanta senza esprimerla adeguatamente”. Io che conosco Aldo da quasi 50 anni mi sento di dire che non è stato così. Ha riempito nel corso degli anni i nostri cuori di una dolcezza e di una tenerezza senza fine, amando autenticamente ed insegnandoci ad amare, pur attraverso l’impervio cammino della ricerca e del dubbio. E questo libro senz’altro costituisce un’ulteriore testimonianza di come si possa “sognare” e perseguire il cambiamento a partire dal volto dell’altro. 

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Comunicato stampa… indirizzi per prenotazione

Un Libro che racconta il Giardino del Liceo Brunelleschi di Afragola

 

” Il Giardino del Liceo, un ponte tra le generazioni” è il titolo di un libro scritto da Aldo Bifulco e da poco pubblicato dall’Ed.Qualevita. E’ la narrazione di un’esperiena didattica trentennale articolare che ha prodotto la trasformazione di un’area brulla, incolta che circonda il Liceo Sc.”F.Brunelleschi” di Afragola in uno splendido giardino didattico, una piccola oasi al servizio dell’intero territorio. Si racconta del lavoro svolto in una scuola pubblica, soprattutto dagli

studenti, che si sono avvicendati anno dopo anno, dal 1982 ad oggi, “un ponte tra le generazioni” appunto, che si è sviluppato malgrado la scarsa considerazione istituzionale, all’insegna della precarietà e la povertà dei mezzi. Il libro è un condensato di scatti razionali ed emotivi non sequenziali, racchiusi in dodici capitoli introdotti da un “nome” che individua una persona o un luogo significativo per l’esperienza e si conclude con la descrizione di una pianta del

giardino, opportunamente selezionata e con un documento che ha accompagnato lo snodarsi della storia. Fare memoria di un progetto che racchiude “qualità e tempo”, caratterizzato dalla durata, dalla continuità, proiettato nel futuro, in un momento storico dominato dalla cultura “dell’usa e getta”, dall’esasperata considerazione del presente, dalla ricerca spasmodica della visibiltà estemporanea, è certamente un’operazione significativa. Ed è un invito appassionato, da parte di un docente appena collocato in pensione, a riflettere, senza pregiudizi, ma con rigore e disponibilità interiore, sulle problematiche dell’ambiente e della scuola coinvolta, oggi, in un dibattito delicato e conflittuale.

Il libro del prof. Aldo Bifulco serve a finanziare un importante progetto sociale per l’Africa, maggiori informazioni del progetto sono sul sito http://www.forumgregoriodonato.org

È possibile acquistare una copia del libro presso la sede del Circolo degli Universitari di Afragola in via Francesco Russo 55 dal Lundì al Venerdì dalle 16.30 alle 20.00

o scrivere per prenotazione a rosario.dangelo@yahoo.it

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