CORPORAZIONE/COOPERAZIONE


Malgrado l’evidente assonanza, le due parole nascondono concetti, modalità di intendere le relazioni e la vita, a mio parere, antitetiche.

Questa estate le corporazioni, lobby più o meno potenti rigidamente chiuse nel loro particolare, e determinate ad acquisire e difendere qualche privilegio, in seguito al decreto Bersani hanno rumorosamente calcato la scena. E il “partito liquido”, mutuando l’aggettivo caro a Zygmunt Bauman, ma nella sua versione negativa, smarrisce la sua natura liberista, opponendosi alle liberalizzazioni, come in altre circostanze è passato dal facile perdono per i potenti, al giustizialismo per i dannati della terra. Si sa, d’altronde, che la coerenza non fa rima con la ricerca del facile consenso.

La cooperazione, invece, implica una tendenza all’apertura, a considerare il bene dell’altro coincidente con il proprio.

“Fuga di notizie” si è già occupata della Coop. La Roccia, ma forse è il caso di approfondire la conoscenza attraverso le parole di Luigi, un giovane elettricista che ne fa parte.

La prassi consolidata richiede una breve presentazione in apertura dell’intervista.

Ho vent’anni ed ho conseguito la licenza alle medie inferiori. Ho partecipato per due anni al corso di formazione di impiantista elettrico per l’obbligo formativo. Artefice di questi passaggi, ma anche della costruzione della cooperativa, è stato Padre Fabrizio Valletti.

Fai parte della Coop. La Roccia, un termine dal sapore biblico. Fornisci ai lettori del giornale qualche informazione più precisa sulla cooperativa. Quando nasce, quali servizi offre, perché mai questo nome?

La cooperativa nasce a dicembre 2005 ed è strutturata in  tre settori:

a)sartoria con alcune ragazze che lavorano guidate da due stiliste adulte;

b)grafica con operatori capaci di realizzare volantini, manifesti, depliant ecc;

c)impiantistica elettrica ed elettronica civile ed industriale; rete LAN; impianti antincendi, citofonia, videocitofoni e videosorveglianza.

Assieme ad altri sette giovani coetanei mi occupo di questo settore.

La Roccia è “tosta”….e noi dobbiamo essere “tosti” per poter superare le difficoltà che questa società ha creato per noi giovani.

Ho sentito dire che avete qualche difficoltà perché giustamente voi, per motivi di legalità e per motivi etici, emettete fatture, mentre la gente  non ne vuole sapere.

Attualmente riusciamo a lavorare, anche abbastanza intensamente, fuori dal quartiere, ma nel nostro territorio, quando la gente sente la parola fattura (quasi fosse una bestemmia!) gira a largo. Eppure, se ci fermiamo a discutere in generale, tutti sono per la legalità e tutti ritengono prioritaria la lotta all’evasione fiscale… ovviamente quella degli altri!

In questo quartiere, come altrove, ci sono tanti Parchi e tanti palazzi che hanno una gestione condominiale. Perché non vi offrite per alcuni tipi di lavori e di manutenzione? E perché non create una collaborazione più solida con la vicina Cooperativa “L’uomo e il legno”?

Noi abbiamo diffuso un’enorme quantità di volantini nel quartiere. Certo, non sarebbe male l’ipotesi di contattare i condomini di Scampia, passerò l’idea a Mariano Otranto che è il responsabile della cooperativa. Mi sembra anche utile realizzare una sorta di consorzio con “L’uomo e il legno” in modo da scambiarci informazioni, favori e mettere al servizio dell’altro le rispettive professionalità.

La cooperazione potrebbe rappresentare una delle risposte vincenti rispetto alla crisi del mercato del lavoro, ma potrebbe avere un difetto: “non promette la ricchezza”! Sarà difficile estirpare questo cancro diffuso dal modello culturale veicolato dai noti furbetti che infettano il nostro paese, dai mestieranti della politica delle false promesse, da chi incita strumentalmente all’evasione fiscale.

Sarebbe interessante aprire un dibattito serio sul problema delle tasse. Intanto vi invito a scaricare dal sitowww.crbm.org il documento presentato al Forum di “Sbilanciamoci”.

Eugenio Melandri, portavoce dell’Assoc. “Chiama Africa” (www.chiamafrica.it), sostiene che il vero problema per il nostro mondo “Non è tanto la povertà ma la ricchezza!”. Potrà sembrare paradossale, ma io condivido questo pensiero anche se non ho lo spazio per motivarlo.

Basta, comunque, a mio avviso, leggere con attenzione il Vangelo!

Desidero fortemente terminare questo articolo augurando ogni bene alle “pietre dure” di Scampia, a questi giovani impegnati nelle cooperative di lavoro, ricordando loro che la pietra più dura è il diamante!

                                                                                    Aldo Bifulco

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Obiettivo Uomo


Non ho dovuto sforzarmi troppo per trovare il titolo adatto a  “L’Angolo della Gru” di questo mese.

“OBIETTIVO  UOMO”  per una cooperativa sociale rappresenta una denominazione perfetta perché  rende esplicito l’intento di lavorare nell’orizzonte della “cura”, più che per una mera affermazione economica. Un elemento che dovrebbe permeare, a mio parere,  molte dimensioni lavorative (insegnanti, medici, infermieri ecc.) dove la relazione empatica è indispensabile per raggiungere l’obiettivo.

Questa volta più che un’intervista si è trattato di un dialogo a più voci, con Bruno Salvatore e Massimiliano Migliaccio, molto ricco ed articolato, che non può trovare un‘adeguata accoglienza nel breve spazio di una pagina di giornale. Ci aspettiamo e ci auguriamo qualche contributo diretto dei due interlocutori sulle tematiche affrontate nei prossimi numeri di “Fuga di Notizie”.

Partiamo immediatamente con alcune informazioni  più dettagliate sulla cooperativa.

“Obiettivo Uomo” è una delle prime cooperative sociali napoletane. Nasce nel 1992 come costola dell’Opera Don Guanella”, ma ben presto si distacca diventando una cooperativa laica che mantiene, però, viva l’ispirazione educativa che è, poi, quella di Don Bosco, basata essenzialmente sulla prevenzione. Il nucleo storico di 16 soci è affiancato da uno stesso numero di collaboratori. La cooperativa gestisce il lavoro di circa quaranta persone. Gli operatori vengono selezionati con molta attenzione perché si richiedono standard di  qualità ed un codice etico molto elevati.

Abbiamo scelto di orientare il servizio prevalentemente a Scampia, prospettando l’incontro con gli ultimi; il volto dei ragazzi, degli emarginati, delle famiglie in difficoltà rappresentano la nostra interfaccia. Attualmente la nostra educativa territoriale ha in cura circa 120 ragazzi.

Il mondo a cui fate riferimento ha un suo vocabolario e, talvolta, si fa una certa confusione specie tra volontariato e cooperazione. Chiariteci un po’ i termini della questione, anche perché, dietro l’angolo c’è sempre qualche furbetto che tenta di approfittare della situazione.

L’Associazionismo, il volontariato, la cooperazione di solidarietà sociale e tutte le imprese o istituzioni senza finalità di profitto e di speculazione  privata  vengono inquadrate nel cosiddetto terzo settore. Anche se la cooperazione di solidarietà sociale nasce storicamente dall’incontro tra volontariato e cooperazione, il passaggio da un’associazione ad una cooperativa non è automatico e nemmeno naturale. Il volontariato è basato sulla spontaneità e la gratuità assoluta, la cooperativa esprime la sua libera iniziativa con finalità sociale attraverso una componente economica determinata ed una forma giuridica vincolata. Si tratta, comunque, di un’impresa no profit, nel senso che eventuali utili, una volta provveduto agli emolumenti degli operatori, vanno reinvestiti. In “Obiettivo Uomo”  l’Associazione di volontariato e la cooperativa vera e propria, pur distinte, convivono e si integrano perché animate dallo stesso spirito.

Da qualche parte si  sottolinea il pericolo di supplenza nei confronti degli obblighi dello Stato che appare sempre più incline a delegare le proprie responsabilità sul versante della solidarietà.

Il pericolo è reale, ma in questo campo le motivazioni interiori sono fondamentali e non possono derivare automaticamente dalle Istituzioni. Piuttosto non avendo l’autosufficienza economica ci troviamo a rincorrere progetti e bandi di gare per far quadrare il bilancio. Il paradosso è che noi dobbiamo concorrere per fare ciò per cui siamo nati e sottoporci ad una competizione che ci appare sempre più innaturale. Anche perché, in partenza, si richiedono competenze professionali, alti indici di qualità a costi piuttosto bassi , ma poi il controllo dei risultati non sempre avviene. A noi sembrano,invece, elementi di garanzia,  peraltro  poco considerati, la continuità progettuale nel tempo ed il radicamento sul territorio.

La vostra opera meritoria fa riferimento, ovviamente, soprattutto a finanziamenti pubblici.

Cosa dite di tutto questo chiacchiericcio sul problema delle tasse?

Non pagare le tasse ed istigare all’evasione fiscale è senz’altro immorale. Ma anche lo Stato è immorale se non restituisce al sociale ciò che ha prelevato dai cittadini.

Ci vorranno, comunque, cinquant’anni di buongoverno per creare la cultura della partecipazione solidale, perché  le spinte culturali attuali sono tutte orientate verso un individualismo esasperato e verso un consumismo effimero.

Proprio in questi giorni la FAO, nel suo rapporto 2006, ammette il fallimento nella battaglia contro la fame nel mondo. Nei paesi poveri sono a rischio 854 milioni di esseri umani. Ma anche nei paesi sviluppati aumenta il numero dei poveri e dei giovani precari senza futuro.

Con questi problemi nella mente come si fa  a sopportare le lamentazioni dei ricchi per un eventuale  piccolo prelievo dal loro malloppo? …e non lo dico per invidia!!

                                                                                      Aldo Bifulco

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I (miei) CROCICCHI di Scampia

I (miei) CROCICCHI di Scampia

L’atmosfera natalizia e di fine anno mi ha indotto ad inter-rompere (ma solo per questo mese) il lungo colloquio avviato con i giovani di Scampia. Ho voglia di comunicare la mia relazione con il territorio, a prescindere dalla famiglia, mio riferimento naturale e dalla comunità di base, mio riferimento storico.

All’esame di maturità di quest’anno è stata proposta , tra le altre, questa traccia “Città e periferie: paradigma della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva”, accompagnata da numerosi stimoli di autori diversi. Si passava dalla presentazione dell’anomalia periferica vissuta come “altro dalla città”, come incompiutezza, disordine, al limite bruttezza (Rolle) alla periferia da non considerare necessariamente come “non luogo” (Marc Augè) dove con questo termine si vuole intendere  “gli spazi della circolazione, del consumo, della comunicazione, gli spazi della solitudine, come i supermercati”, anche se questi tendono a diventare sempre più luoghi di appuntamento, dove trascorrere il tempo. Io ho sempre  pensato di “vivere “ i luoghi che mi hanno accolto, luoghi sempre periferici o marginali, cercando di scovare o creare situazioni di vivibilità, di contribuire a tessere trame  di relazioni positive, relazioni di amicizia autentica. E’ per questo che mi ritrovo nel pensiero di Portoghese “guardare la periferia non soltanto con sdegno …per le sue caratteristiche di incompiutezza….ma anche con umanistica pietas, cioè con amore, come una realtà da affrontare, di cui aver cura…”.

In questi vent’anni di cittadinanza a Scampia sono tante le situazioni in cui ho potuto “vivere” con intensità la mia dimensione culturale, con autenticità la mia esigenza di socialità e di politica, con profondità la mia tensione emotiva ed affettiva. I CROCICCHI, termine caro a Padre Fabrizio Valletti, più che intersezione di strade, vanno intesi come intersezione di persone, luoghi di relazione, dove si sperimentano e si elaborano strategie di attenzione e cura nei confronti dell’altro e dell’ambiente.  Sono tanti i miei Crocicchi di Scampia.

Il Circolo “la Gru”,  in dieci anni di storia,è stato crocevia di tanti giovani e non; lo definisco un “circolo di strada” perché  ha tentato, mentre altri si ritiravano e si richiudevano nei propri recinti, di riportare le iniziative, la ricerca, la politica, anche la gioia al di fuori dei cancelli reali e mentali, all’aperto. Di “strada” anche per la mancanza di strutture proprie, per la povertà delle risorse, la precarietà dei mezzi. Ma Toni, Ciro, Marcella , Gennaro, Alberto, Cristiano sono ancora sulla breccia. Il circolo ha avuto, tra l’altro, il merito di puntare i riflettori sul “verde di Scampia” che rappresenta una risorsa del quartiere da salvaguardare.

Il Gridas è “la bussola etica del territorio”. I laboratori, in preparazione del Carnevale di quartiere, sono fucina di creatività, fonderia di idee e manualità, circuito di ironia, narrazione di storie, esperienze, avvenimenti. La calda accoglienza di Mirella, i dolci rimproveri di Martina, la paziente operosità di Gaetano, la spinta organizzativa di Franco rendono piacevole e interessante il lavoro comunitario. Tra l’odore di colla e di pittura, tra i rumori di martello e sega e il fruscio del filo di ferro, aleggia persistente lo “spirito di Felice”.

Il Caffè letterario, ma anche le altre iniziative dell’Ulten-Auser, rappresentano i crocicchi più recenti e più coinvolgenti di questo momento storico. Franco riesce sempre a creare una magica atmosfera che tieni incollati sulle sedie i cinquanta e più fedeli frequentatori del caffè letterario che vagabonda tra diverse sedi. Quella miscela straordinaria di prosa, poesia e musica suscita suggestioni particolari, i sapori culturali che emergono aprono orizzonti e generano desideri. Ma anche il sapore della “miscela tutta partenopea”  del caffè che Ester offre alla fine dell’incontro, con il  suo sorriso dolce e accogliente,  crea vicinanza e cementa amicizie.

Il TAN (Teatro Area Nord) è già un polo teatrale che supera l’orizzonte di Scampia, per la collocazione, la platea di riferimento e la qualità della programmazione. Eppure quel folto drappello di cittadini di Scampia che si dà appuntamento con costanza a Via Dietro la Vigna, ha trovato e creato un ambiente, oserei dire familiare. Sparsi tra la folla che, finalmente, riempie il teatro, all’inizio della rappresentazione si cercano, quasi per confermare una presenza attesa; così un movimento ondeggiante di mani che salutano, anima tutte le direzioni della sala. Certo Lello Serao che ti attende e ti abbraccia all’apertura della stagione teatrale, Alessia e Margherita che spezzano il momento amministrativo con sorrisi e frammenti di informazioni che rendono più interessante l’attesa, l’invito a bere insieme un sorso di vino e scambiare impressioni sullo spettacolo appena concluso, magari con la presenza degli attori, rappresentano una specificità straordinaria di questo teatro. C’è una partecipazione della gente direi calda e raffinata, lontana dall’atmosfera fredda e aristocratica di alcuni teatri cittadini, ma anche  da quella un po’ sguaiata di tipo nazional-popolare. Va sottolineato, inoltre, che il TAN non è una cittadella isolata ma è pienamente inserito nella rete culturale e sociale del territorio.

L’Eucarestia delle 11.30 alla Rettoria dei Gesuiti. Padre Stefano e Padre Fabrizio hanno creato una comunità articolata che, in gran parte,  vive la fede non come un obbligo identitario;  si avverte che la proposta di Cristo non è un peso cupo ed opprimente, ma è intrisa di responsabilità gioiosa,  proiettata verso una  condivisione autentica e  serena. Le stimolanti riflessioni di Fabrizio si intrecciano con la  preghiera spontanea  e piena di com-passione della gente, il gesto della pace non è un rito ma un piccolo dono  offerto al vicino.  Conosco solo una parte dell’assemblea, ma avverto che tanti percorsi sono permeati da un comune sentire. Confesso di aver vissuto momenti di intensa emozione ed una implosione di grazia. La mia storia e la mia esperienza mi fanno fuggire da ogni logica di precetto eppure quando non riesco a partecipare, questo incontro mi manca .

Fuga di notizie, infine, rappresenta per me un altro importante punto di riferimento. Ogni mese aspetto con trepidazione di leggere le riflessioni e le sollecitazioni che vengono proposte dagli amici della redazione. E poi mi ha dato l’opportunità  di stendere tanti fili  tra l’umanità varia,  soprattutto giovanile, che rende ricco questo territorio. Di alcuni conosco solo la voce, ma molti sono diventati interlocutori  privilegiati con cui continuo ad incontrarmi nella vita quotidiana.

Questi non sono i soli crocicchi di Scampia, e forse nemmeno i migliori, ma sono i miei.

Non vorrei apparire ingenuo ed orbo al punto da non capire e vedere che per questa realtà occorre innanzitutto giustizia, lavoro, vivibilità e sicurezza ma la società civile nel mentre lotta per questi obiettivi generali, può contribuire alla riqualificazione culturale e relazionale.

Teilhard de Chardin con un’espressione che fratel Arturo Paoli ripete  sovente afferma che bisogna “amoriser le monde”. Ed io mi interrogo spesso come fare per “amorizzare” questo frammento di mondo che è Scampia, come inserire dinamiche di vita in una realtà che sembra attraversata  solo da dinamiche di morte. Immagino allora una  rete i cui nodi sono rappresentati da una moltitudine di crocicchi e con gli spazi vuoti, luoghi della solitudine e dell’indifferenza, sempre meno estesi e mi pare di poter sperare un’alba diversa per questo nostro martoriato amato territorio.

                                                                                      Aldo Bifulco

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Felice: un capitolo di storia di Scampia

“L’uomo non è dotato di una saggezza maggiore di quella degli altri esseri, per molti numeri egli è superato da molti e anche da quelli che sono irrilevanti per la loro esigua corporeità: ma l’uomo è incorso in una sorte migliore avendo avuto il dono della mano.” (Giordano Bruno). 

Il richiamo di Felice, non solo nei murales, a questo inestimabile dono avuto dall’uomo era ricorrente: rappresentava il simbolo della sua caparbia azione didattica ed il segno del suo progetto pedagogico, non sempre compreso, talvolta tollerato. 

E la mano, la sua mano “color alabastro”, è stato il punto di convergenza degli sguardi silenziosi e commossi di tanti che sono accorsi da ogni parte della città per riscaldare quella fredda stanza del Monaldi. Sembrava pronta ad afferrare il pennello per lanciare un altro messaggio di denuncia e di indignazione, ma anche di pace, compassione e tenerezza. Anche alla fine ci ha saputo dare una lezione di semplicità e sobrietà: “se n’è andato col suo gilet dalle mille tasche, con la pipa, il righello, le penne e….le buste di plastica ben piegate, sempre pronte per ogni evenienza”. E poi con i piedi scalzi, perchè amava saggiare il calore diretto della madre terra ( forse come il suo amico Nuvola Rossa). E con poche margherite di campo (quelle dei suoi disegni); le stesse che pare abbiano accompagnata la nuvola delle sue ceneri che si è distesa nell’orizzonte aperto di S.Vito dei Normanni. 

Felice “era uno di noi” ci dicevamo nella Comunità di base, direi che era “prima di noi”. L’abbiamo incontrato per la prima volta nel campo Arar di Poggioreale perchè la sua baracca confinava con quella delle Piccole sorelle (con l’indomabile p.sorella Maura, operaia della Cirio) dove talvolta ci recavamo per pregare in un contesto di esclusione. Mentre noi balbettavamo i temi rivoluzionari di cui è intriso il Vangelo, lui già li incarnava nella dura concretezza della storia. Una condivisione praticata, non proclamata. Una condivisione vissuta sempre con radicalità e gratuità assoluta. 

Abbiamo ritrovato Felice a Scampia ed è diventato compagno e fratello di tante iniziative. La “Gru”, anche il nome dato al Circolo di Legambiente è frutto di una sua intuizione, mentre parecchi di noi, stretti intorno al tavolo del Gridas, spremevamo, invano, le meningi per trovare un’idea originale. 

Franco, storico compagno del Gridas, quel giorno, mentre mi stringeva per tentare di controllare ed attenuare la morsa del dolore esclamava:”Correva, correva troppo Felice”. Il cavallo alato galoppante che compariva in alcuni murales: non si riusciva a seguirlo nella sua fertile progettualità, nella sua energica operosità, nelle sua estrema coerenza. Anche noi, come Nino Lisi, abbiamo avvertito, tante volte, “un muto rimprovero”, subito mitigato dalla dolcezza del suo sorriso e dalla generosità con cui si immergeva in ogni situazione. 

Tutti in ritardo nei suoi confronti, anche e soprattutto le Istituzioni. Gli farei un torto se non ricordassi la solitudine dell’ultimo periodo. La sofferenza per alcuni progetti franati, le numerose beffe subite, l’assenza di ascolto del suo grido profetico. Succede spesso così! 

Non riesco, comunque, a sopportare chi parla di Scampia come di un quartiere senza storia. Per quanto tormentata e contraddittoria c’è sempre una storia. Le pagine più belle e significative le ha scritte proprio lui. Felice rappresenta il capitolo più importante della storia di Scampia, perchè ha dato una connotazione originale a questo territorio, lo ha fatto conoscere per una dimensione diversa dalla rappresentazione abituale che si è diffusa in strati di popolazione sempre più vasti. 

La sua arte sarebbe stata una “grande risorsa” per il quartiere; è mancata la consapevolezza istituzionale e popolare. Sono rimasto fortemente sorpreso – quel giorno – nel vedere le lacrime copiose e sincere di tanti giovani. Il mio pessimismo si è addolcito e mi sono ricordato di un pensiero letto su una rivista: “Se non ci sono stati i frutti è valsa la bellezza dei fiori. Se non ci sono stati i fiori è valsa l’ombra delle foglie. Se non ci sono state le foglie è valsa l’intenzione del seme”. 

Per la verità nel mese di marzo Felice avrebbe dovuto realizzare un mosaico, commissionato dal Comune di Napoli (era ora!), sulle mura del campo di calcio costruito a Scampia….e poi ad aprile nascerà il nipotino, ma Felice, ancora una volta ha corso troppo, ha anticipato gli eventi ed è volato via con la sua “anima leggera”. 

Alla marcia della Pace del 20 marzo, uno spezzone del movimento, quello della città di Napoli, rumoroso e motivato, era dietro lo striscione “Il rullante di Felice continua a scandire i ritmi delle lotte per la libertà”.

In questo periodo il Gridas è frequentato da tante persone che vogliono perseguire con tenacia, a partire dalla organizzazione della memoria di Felice, gli obiettivi di animazione culturale e sociale che lo caratterizzavano. 

E poi mi piace ricordare il foglietto che un ragazzo dell'”Oasi giocosa” ha fatto trovare sul cancello del Gridas ” Felice, ora che stai lassù, non far piovere alla prossima sfilata del Carnevale” 

Mi sembrano forti segnali di speranza, una volontà di continuare. 

Ancora una volta aveva ragione lui quando chiudeva un libro con la frase di Ernesto Cardenal: 

“L’artista è stato sempre completamente integrato nella società: ma non nella società del suo tempo, in quella del futuro. L’artista, il poeta, il dotto e il santo sono membri della società del futuro, di quella società che già esiste sul pianeta come un seme, un seme forse disperso in piccoli gruppi e nei singoli, qua e là; indipendentemente dalle ripartizioni della geografia politica.” 

Aldo Bifulco

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