Archive for settembre 24, 2008

Architettura di periferia: Luci ed ombre.


Il Circolo di Legambiente di Scampia ha voluto chiamarsi “la Gru” non soltanto per un riferimento esplicito al volatile che ispira un senso di libertà e leggerezza, ma anche per  la presenza, da sempre, nel nostro quartiere di altre “gru”, enormi, maestose, metalliche. In questo periodo esse imperversano a Scampia e la cosa ci fa piacere perché significa che si lavora, si realizzano progetti . Ma allo stesso tempo siamo assaliti dall’ansia e qualche domanda si fa pressante: “Sarà un’opera che soddisferà le esigenze e le attese della gente di Scampia oppure si tratterà di un’altra struttura buona solo per riviste di architettura?” “Si tratterà di un altro “megamostro” oppure di un’opera esteticamente apprezzabile?”

Utilità e bellezza rappresentano un binomio che potrebbe coesistere in una architettura, sia pure di periferia.

Vogliamo indagare su questo fronte con Dario Guglielmi, giovanissimo architetto del nostro quartiere, che ha già riscosso alcuni successi professionali, come è stato riportato, un po’ di tempo fa, anche da “Fuga di notizie”.

Da alcuni mesi, dopo una discreta attesa, è stata ultimata la Chiesa S.Maria di Maddalena a Scampia. E’una bella struttura realizzata anche con il tuo contributo. Brevemente, quali sono i motivi architettonici che ispirano questo edificio?

Lo spunto iniziale era quello di realizzare qualcosa di discreto e misurato che, per un gioco di contrasti, potesse  offrire un’ alternativa possibile alle “megastrutture” tipiche dell’edilizia delle nostre periferie. Al di là del risultato formale era importante fissare come vincolo il bisogno di edificare a “scala umana”, spazi percorribili in grado di offrire suggestioni, in cui si potesse provare l’emozione del senso di appartenenza, emozione spesso negata agli abitanti di Scampia. La suggestione si concretizza nella pianta a base circolare che avvicina l’osservatore al presbiterio, nel muro in pietra, nell’allusione al tema della “capanna” che caratterizza l’interno della copertura dell’Aula Liturgica, con la scansione tra pannelli in fibra di legno mineralizzato e nervature strutturali in cemento armato. Le nervature strutturali in evidenza incuriosiscono e la loro percezione trasmette all’osservatore un senso di solidità, le lunghe travi si riescono a percorrere con lo sguardo e inconsapevolmente si è portati ad osservarle dalla base (la dimensione umana, facilmente intuibile, 4, 5 metri , non di più…), fino alla testa, al grande stacco circolare e alla LUCE (la dimensione divina, imperscrutabile). L’asse altare-ingresso è orientato Nord-Sud, i finestroni del presbiterio danno quindi luce fredda che non abbaglia e ha colorazione costante, mentre la lunga parete curva dell’ingresso e il fascione di finestre servono a captare la luce del sole lungo l’asse Est-Ovest, dall’alba al tramonto. La copertura dalla doppia inclinazione ripara l’interno dell’Aula Liturgica dal sole violento d’estate e permette ai raggi del sole d’inverno, più bassi all’orizzonte, di entrare a riscaldare. Il campanile isolato è un simbolo dal sapore vagamente medievale, con la griglia in acciaio che lo caratterizza nella metafora  del presidio, dell’ avamposto.

Spesso i quartieri periferici sono i luoghi di sperimentazioni ardite dal punto di vista architettonico. Fai un quadro del nostro quartiere, indicando luci ed ombre presenti.

Nei quartieri periferici possono mancare riferimenti tali da responsabilizzare maggiormente le amministrazioni locali nel predisporre ed attuare gli strumenti di pianificazione urbanistica. Forse risulta difficile, entro l’orario d’ufficio, riuscire a sintetizzare in un disegno unico i bisogni, le speranze e le prospettive di un insieme disomogeneo di 30, 50, 80 mila persone che di fatto, unitamente al territorio, fanno le nostre moderne periferie. Spesso per “risolvere il problema” e trovare un accordo comune ci si affida a “grandi firme” indiscutibili, che, con sperimentazioni ed interventi simbolici, possano intervenire alla ridefinizione del territorio, ma spesso si perde il controllo. Probabilmente al momento le strategie più agili per affrontare problematiche complesse come quelle legate alle periferie, sono offerte da strumenti quali la “Conferenza dei Servizi”, della legge 241/90, recentemente aggiornata. Si tratta di strumenti che l’Ente Locale può adottare per promuovere un rapporto dialettico collegiale con una pluralità di soggetti al fine di chiarire in tempi brevi le reali necessità, bisogni e possibilità di un dato intervento.
Altro strumento che secondo me potrebbe essere positivamente impiegato per Scampia è quello del “Concorso di Idee”, in questo caso l’Amministrazione invita soggetti esterni alla predisposizione di progetti di qualità, idee, e nel contempo innesca un meccanismo in grado di attrarre attenzione, curiosità, opinione pubblica. Recentemente si è parlato di “concorsi di idee” per il quartiere De Gasperi di Ponticelli e prima per Bagnoli, Soccavo, Chiaiano e Pianura. Alla base ci sono però sempre le persone, una volontà comune e concreta di risolvere un problema.

Hai qualche idea sui cantieri in opera sul territorio? E, poi, qual è la tua impressione sull’entrata della Metropolitana? Molti hanno manifestato qualche perplessità, soprattutto per il gusto di “tipo cimiteriale”.

Ho apprezzato la realizzazione di nuova edilizia, la più semplice e senza pretese che si possa realizzare che forse può garantire un rapporto di vicinato più sereno e civile, finisce un incubo per molti nuovi inquilini. Sono favorevole all’abbattimento delle “Vele”, riconoscendo l’errore si può aspirare ad un reale miglioramento. Una delle disfunzioni principali del quartiere resta sempre l’enormità degli spazi e la loro impossibilità ad essere attraversati e vissuti. In questa direzione prediligerei una serie di piccoli interventi localizzati, ma legati ad un disegno unico di riqualificazione, integrando uffici a funzioni di commercio, artigianato, ristorazione, svago, approfondimento culturale. Ho paura delle grandi piazze, telematiche e non, intese come grandi contenitori vuoti, a Scampia non ne abbiamo bisogno. Il nuovo ingresso alla metro desta qualche perplessità, più utile ragionare su come rendere l’accesso il più funzionale e sicuro possibile, si invecchia aspettando le navette.                                                                                               

                                                                                                           Aldo Bifulco

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I GIOVANI E LA POLITICA


“Qui non si parla di politica” ,“Sono apolitico”: espressioni  ricorrenti nel mondo giovanile (e non solo) e che spesso vengono ostentate come un valore. Espressioni e atteggiamenti che hanno tormentato gli ultimi anni di “nonno Nino”, come veniva affettuosamente chiamato in una certa area giovanile Antonino Caponnetto, “il magistrato cartavelina”, il padre del Pool antimafia, il maestro di Falcone e Borsellino, l’amico saggio coraggioso e sofferente dei giovani dei movimenti antimafia. Egli, e con lui tanti altri, avvertiva il pericolo che anche nel nostro paese la disaffezione  alla discussione e all’impegno sul versante civico potesse determinare la delega assoluta ad alcuni mestieranti del potere (che non aspettano altro), la spinta a rinchiudersi essenzialmente nel privato e alla ricerca spasmodica dell’effimero. Malgrado l’affacciarsi sulla scena politica del sorprendente movimento dei giovani di Locri, la crisi della partecipazione alla vita politica e sociale è un fenomeno in crescita e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti!

Nel nostro quartiere, a Scampia, c’è qualche presenza giovanile nell’ambito delle Istituzioni. Abbiamo perciò cercato Luca Marino e lo abbiamo intervistato.

I giovani e la politica: non è oggi un rapporto facile. Come hai vissuto la tua esperienza politica all’interno della Circoscrizione Scampia?

La problematica distanza che si frappone tra i giovani e la politica non la contestualizzerei con la realtà odierna. Se pur vero, infatti, che i ragazzi di oggi sono circondati da un numero infinito di distrazioni ed afflitti, probabilmente, da maggiori preoccupazioni (vedi le lunghe carriere scolastiche e la patologica difficoltà di inserirsi nel mondo del lavoro), è anche vero che per comprendere le ragioni di questo evidente divario sarebbe utile fare un piccolo passo indietro nel tempo, per ritrovare il graduale affievolirsi della questione ideologica e il senso di repulsione provocato dagli avvenimenti legati al fenomeno di Tangentopoli. In completa controtendenza, sottolineerei invece il valore che la nascita e la rapida diffusione dei cosiddetti “blogs” stanno assumendo, quale strumento di informazione e confronto, nel lento e timido processo di riavvicinamento dei giovani alle tematiche della politica, uno strumento, comunque, molto più agevole ed indolore rispetto all’impegno ufficiale e responsabile in una realtà istituzionale, se pur piccola come una Circoscrizione.

La mia prima elezione al Consiglio Circoscrizionale di Scampia, avvenuta nell’ormai lontano ’97, ha segnato l’inizio di questo impegno, determinando il passaggio da un approccio idealistico e saltuario ad uno pratico e quotidiano. In altre parole, mentre ancora riflettevo sulle priorità che il “primo” esecutivo Prodi avrebbe dovuto dare alla sua azione di governo mi sono ritrovato, assieme ai miei colleghi, a gestire l’emergenza di alcuni abitanti di Scampia costretti ad una notte da sfollati in seguito all’abbattimento della prima vela.

A circa nove anni da quell’esperienza, mentre Prodi studia ancora da aspirante premier e le vele sono ancora in piedi, ho la convinzione di aver agito sempre con passione ed impegno, gli stessi che contribuirono a mitigare l’inesperienza e la difficoltà di quei giorni. Il bilancio, alla fine, è come sempre il risultato di luci ed ombre, successi e delusioni, ma accompagnato dalla consapevolezza agrodolce che nel nostro territorio, per gli errori storici che l’hanno generato e per quelli che ancora si commettono nel tentativo di ricostruirlo, i pochi successi portano dietro un valore di gran lunga più importante e significativo rispetto alle molteplici delusioni che spesso siamo costretti a subire e che, per fortuna, lasciano la marginalità e l’insulsaggine dei personaggi che ce le provocano.

Le Circoscrizioni vanno in soffitta e stanno per essere sostituite dalle Municipalità. Quali sono le differenze?

Finalmente anche nella nostra città il Consiglio Comunale ha deliberato la nascita di nuove e più efficienti forme di decentramento amministrativo e così, dal prossimo Maggio, i cittadini andranno alle urne per eleggere i componenti del Consiglio delle Municipalità e non più delle Circoscrizioni.

Le nuove realtà decentrate eserciteranno le loro competenze su territori più vasti (la nostra Municipalità comprenderà in un’unica area l’attuale territorio delle Circoscrizioni di Scampia, Chiaiano e Piscinola-Marianella), e godranno di un’ampia autonomia organizzativa. L’esercizio di una funzione decisionale garantirà la gestione più diretta e più vicina al cittadino relativamente alle problematiche di manutenzione urbana (strade, piazze, arredi urbani, mercati rionali,…), dei servizi socio-assistenziali, della scuola e delle attività scolastiche (trasporto e refezione), delle attività culturali e sportive (gestione impianti sportivi). In più le Municipalità manterranno una competenza propositiva (l’unica prerogativa delle vecchie Circoscrizioni) per la realizzazione di opere e strutture sul proprio territorio.

Naturalmente, e questa è l’altra grande innovazione, per l’espletamento di queste funzioni a ciascuna Municipalità saranno assegnate risorse umane, strumentali e soprattutto finanziarie, con economie che andranno ad incidere su una particolare voce del bilancio comunale.

L’attuale giunta comunale vanterà, pertanto, il merito di avere introdotto questa storica trasformazione. Tuttavia, un giudizio serio e complessivo non può prescindere dalla considerazione relativa all’estremo ritardo con la quale essa giunge, e dalle difficoltà che verranno dal fisiologico periodo di assestamento e dall’introduzione graduale delle significative innovazioni nell’attuale sistema amministrativo comunale.

Forse accanto alle “quote rosa” dovrebbero essere previste, e ancor più, le “quote giovani” nelle liste elettorali delle prossime elezioni.  Quello presente nelle Istituzioni sarebbe, comunque, un numero ristretto rispetto ai tanti giovani che abitano il nostro paese. Ma la politica ha un respiro ben più ampio dell’ambito dei partiti e delle Istituzioni. Bisogna risollecitare la passione autentica per il dibattito politico e l’ impegno generoso nelle diverse e variegate espressioni in cui si articola la vita civile. “Tutto ha a che fare con la politica, la questione è sapere cosa fare, come renderla un fattore di liberazione”.

                                                                                                            Aldo Bifulco

 

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Scampia non è tutta spine


Ho preso in prestito questo titolo dal mio amico Salvatore che nel riquadro a margine di pag.9 dell’ultimo numero di “Fuga di notizie” presentava Manuela Esposito, Miss tra le Miss.

Comincio là dove lui finisce. Per la verità a Scampia le spine non mancano, sono diffuse un po’ ovunque ed alcune sono ben appuntite ed assumono le sembianze…..di siringhe! Ma sapendo cercare tra i rovi si scoprono dei fiori di rara bellezza, dai colori tenui e dal profumo delicato.

Bisogna saperli scovare. E’ quello che da alcuni anni mi sono proposto con questa rubrica: cercare e dare voce alla preziosa “biodiversità floreale” che caratterizza la gioventù di Scampia. Aspettando che si aprano varchi nelle strategie politiche e nelle menti illuminate di tutti quelli che calano sporadicamente in questo Quartiere. Manuela è un fiore di Scampia che è riuscito ad imporsi, per la sua bellezza e la sua grazia, anche sulla ribalta nazionale ed internazionale e mi incuriosisce molto intervistarla anche perché rappresenta un ambito della mia ricerca poco esplorato.

Manuela puoi completare il quadro informativo relativo alla tua persona che è apparso su “Fuga di notizie”?

A soli 16 anni ho partecipato, ad Alassio, al concorso Miss Muretto, classificandomi prima. Alcuni anni dopo, nel 2002, ho partecipato al concorso di Miss Italia, sono risultata sesta, vincendo, però, la fascia di Miss Cinema e Miss” Chi”. Sono stata poi, unica rappresentante italiana, assieme a ragazze di venti paesi all’ultimo concorso internazionale Miss Atlantico, in Uruguay.

Dopo aver frequentato il Liceo linguistico, mi sono iscritta all’Università “Federico II” ed ora sto per laurearmi in Sociologia.

Chi ti ha avviata e come verso la strada dei Concorsi di bellezza? Qual è, in fondo, la motivazione che ha determinato questa scelta?

Sono una ragazza timida e riservata che rifugge ogni tipo di competizione, specie tra donne. La mia mentalità e la mia cultura sono, in sostanza, molto lontane da questo mondo. Ma la vita, si sa, spesso è guidata dal caso e ti trovi nel bel mezzo di un’esperienza per te inimmaginabile. Comunque attorno a me si è creato un drappello di parenti e di vicini che con una sapiente e costante strategia sono riusciti ad attenuare le mie paure e perplessità e spingermi letteralmente in questa avventura. Per la verità hanno, soprattutto, convinto mia mamma che ha stilato la domanda di iscrizione al concorso. C’è sempre una mamma dietro ad ogni Miss!

La motivazione che più di ogni altra ha sgretolato la mia resistenza è stata la possibilità di poter viaggiare e conoscere nuove realtà. Un sogno che trovava un possibile sbocco.

Il mondo dei Concorsi di bellezza mi sembra ovattato e l’atmosfera irreale, poco autentica. Tu che l’hai vissuto dall’interno cosa ci puoi dire?

L’esperienza di Miss Italia mi ha lasciato molto perplessa. Una competizione senza alcun valore. False amicizie e poi un’assurda guerra tra Nord e Sud. Di tutt’altro respiro è stata l’esperienza in Uruguay. Il confronto con culture diverse, molte sudamericane, che, tra l’altro, mi hanno permesso di saggiare la conoscenza del mio spagnolo, mi ha entusiasmato. La gara si è quasi dissolta in questa trama di relazioni. Con molte amiche e sorelle (un termine che non mi pare improprio)ho mantenuto i contatti e spero di poterle incontrare presto qui, a Napoli.

Leggi “Fuga di notizie”? Qual è il tuo rapporto con la lettura?

Qualche sguardo, senza approfondirmi. Mia madre, invece, legge questo giornale fino all’ultimo rigo. Ciononostante amo molto leggere, ma senza una preferenza particolare per qualche genere letterario. Comunque, prevalentemente narrativa.

Come potrai constatare in altra parte di questo numero, una delle iniziative culturali di maggiore successo del nostro Quartiere è il “Caffè letterario” dove si offre (oltre al caffè e qualche pasticcino) una miscela di letteratura e musica sapientemente armonizzata da Franco Maiello. E’ presente un consistente frammento del variegato mondo di Scampia, ma con una scarsa rappresentanza giovanile. Franco sarebbe felice di qualche suggerimento da parte di voi giovani. Sono sicuro, comunque, che la tua presenza…ci garantirebbe il pieno di presenza giovanile.

                                                                                Aldo Bifulco

 

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Una leggera brezza dall’Est.

Una leggera brezza dall’Est.

Vengono a rubarci il lavoro; perché non se ne vanno nei loro paesi?” questa frase riversata con fastidio, alcuni giorni fa, sull’esterrefatto Safanne (l’onesto e dignitoso immigrato africano di cui abbiamo parlato tempo fa in questa rubrica), da una “distinta borghesuccia ” del quartiere, mentre riempiva il carrello al supermercato, mi ha fatto sobbalzare. Con modi non proprio garbati ho manifestato la mia contrarietà a questo atteggiamento argomentandola dal punto di vista etico, culturale e politico.

E’ singolare che mentre anche nel Nord Est si chiede di rivedere le quote di lavoratori stranieri per esigenze economiche, ogni tanto, in alcuni contesti, emergono i tratti di xenofobia latente imputabili, forse, più che a ragioni politiche, a quella “paura tribale”, presente nel profondo di chi, colpito dalla “sindrome dell’assedio”, teme di perdere la propria identità.

Il lavoro è, comunque, un diritto ed anche un dovere universale dell’uomo e dovrebbe prescindere da qualsiasi questione politica, razziale e religiosa.

Piuttosto bisognerebbe discutere di “quale lavoro” e di “quanto lavoro”.

Alle prime ore del mattino, quando mi reco a scuola, lungo il percorso, ad ogni rotonda, ad ogni incrocio intercetto filari di giovani “neri” in attesa di una chiamata: da, qualche tempo, ho notato anche in quel contesto, qualche rara presenza “bianca”. I tratti somatici tradiscono la provenienza dall’Est dell’Europa e vanno a sommarsi a quel drappello di donne che, già da tempo, anche nel nostro quartiere sono state assunte come “badanti”. Termine orribile che il comitato nazionale di bioetica, come abbiamo appreso, con nostro grande sollievo, ha chiesto di sopprimere. Però non è un termine innocuo; a mio parere nasconde una richiesta non molto confortante, di bassa qualità…..”badare” è molto diverso dal “prendersi cura”!

La caduta del muro di Berlino ha aperto le frontiere. Più che Dio, in una direzione, è entrato il mercato. Dall’altra direzione un vento impetuoso ha trascinato in tutta Europa, grosse fette di popolo alla ricerca di un’occupazione. Solo una leggera brezza ha, per ora, investito le nostre zone.

Nelle mie sistematiche soste in pescheria ho notato una presenza discreta, defilata, un giovane alto, chiaramente dell’Est, intento a pulire alici, orate, polpi, seppie, gamberi….che con una certa approssimazione tassonomica chiamiamo “pesce”.

Se non ti dispiace vorrei fare quattro chiacchiere con te. Ci dai qualche notizia sul tuo conto?

Mi chiamo Michele Balas, ho 20 anni e sono nato a Bucarest in Romania. Dopo aver acquisito il diploma di scuola superiore ho deciso di venire in Italia in cerca di lavoro ed ho lasciato a casa i miei genitori e mia sorella.

Quando hai lasciato la Romania? Com’è il dopo Ceaucescu?

Sono circa due anni che ho lasciato Bucarest ed ero troppo piccolo per ricordare i tragici avvenimenti di quegli anni. Si avverte un certo fermento, la capitale è un cantiere per abbattere i palazzi memoria del passato e per costruire nuovi palazzi in modo da prepararsi bene all’ingresso nell’Unione europea del 2007. Ma quando ho fatto la stessa domanda alla gente anziana, alla gente del popolo, spesso ho avuto questa risposta:”C’è più libertà, ma non ci sono più soldi!”

Sotto lo sguardo vigile e bonario di Stefano, il padrone della Pescheria, gli chiedo ancora: “Come ti trovi qui e come sei capitato a fare questo lavoro?”

Mi trovo bene anche se questo non penso debba essere il mio lavoro definitivo. Sono arrivato per caso e grazie all’aiuto di Stefano ho imparato a pulire con accortezza e celerità il pesce meritando gli elogi di parecchi clienti. Insomma il pesce per me non ha più segreti.

Qualche volta in Romania sono andato a pescare nel Mar Nero ed ho preso (sarà poi vero?) lo stesso pesce che trovate sul bancone.

Il banco con quei colori e quella frescura cattura immediatamente l’attenzione del cliente, ma se lo sguardo sale leggermente verso destra si trova una poesia firmata da un poeta locale, Ciro Buonocore, dal titolo “O curallo do mare” che è anche il nome della Pescheria.

Una poesia che Michele legge spesso e dice di comprenderla bene perché ormai è padrone anche della lingua napoletana.

 

Ncopp’ a stu banc spase o’ pesce frisco stà

ca manco nu pittore, ncoppe ‘a na tela, sapesse disegnà.

Guardandolo all’uocchi vuost, vedè ve pare, nu scenario e mare.

 

A cchiorme arrivano client tutt’e juorn

uommene, femmene, giovani e anziani

don Ciro, don Alfonso, don Peppe e don Aniello

trattano tutti quanti a Stefano comm’a nu cumpagniello.

Mentre sceglie o pesce, nu state a guardà o costo,

si vuie pigliate e spicole, alici oppure o baccalà,

Stefano da llà, già sape cadd’a fa,

doppe ca va l’ha tagliato a piezzo,

ve fa sparagna co peso, e pure n’copp’o prezzo.

 

Si mo vuie, sapè vulite sta piscaria

comme sta scritto for, pecchè si chiamm’accussì,

allora io mo vo conto, stateme a sentì.

Aggia sentute e dicere, da cierta gente e’ mare,

ca na bella sera, a luna pe se specchià a mare

a copp’o cielo e Napule, perdette nu curallo

da cullana ca purtava attuorno o cuollo.

 

Sotto ce stevo o viento ca pazziava cu l’acqua,

cuanno, all’improvviso, o poco e brezza,

vuttanno stu curallo proprio int’a na rezza.

O juorn appresso, o piscatore, ancora frisco e rezza,

spannette n’coppo o banco sta ricchezza,

e miezz’e culture, e migliaro e pisce,

e tutte specie, gruosse ‘e piccirilli,

 

luceva stu curallo cchiù de ciento perle

e mo, m’avita credere, si vuie ccà foro

venite pure quando è chiuso a sera,

sentite addore e mare, e o canto de sirene.

 

Dopo questo bagno purificatore nell’acqua di mare vorrei soltanto ricordare che il mare unisce, è praticamente senza confini; nella nostra mente, nella nostra cultura si è sedimentato,invece, un concetto di identità aggressivo ed escludente che ci spinge “a battere il pugno sul tavolo contro gli estranei che sono o si affacciano tra noi”. E ciò è l’antitesi del messaggio di fratellanza universale proposto dal Cristo. Un messaggio che esclude la categoria dello straniero, un messaggio di condivisione. Anche il lavoro andrebbe condiviso!

Aldo Bifulco

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“L’UOMO E IL LEGNO


Per molti decenni attorno all’assunto di ridurre il cosmo a espressione di quel gioco di forze, di lotte violente tese alla sopravvivenza del più forte, si è sviluppato un sistema di pensiero che ha connotato anche la politica e l’economia. E’ difficile negare che il teatro della vita sia attraversato dalla predazione e che la morte sia spesso una lacerazione ineliminabile per far rifiorire nuova vita.

La Natura appare così come uno scenario dove prosperano gli “ egoismi”.

Da alcuni anni, però, la ricerca biologica ha aperto nuove prospettive ed una visione nuova si affianca a quella già consolidata. Con mia grande soddisfazione ho letto  sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale “Nature”, che, studiando ed analizzando organismi biologici come il lievito e le vespe, si è potuto constatare che in natura la cooperazione è possibile e in certi casi è la scelta migliore. Ci sono, insomma, delle comunità in cui l’altruismo è la regola; tutti finiscono  per guadagnare quello che hanno speso in termini di aiuto reciproco..

Musica per le mie orecchie, anche se da tempo sostengo che la cooperazione non debba essere solo una scelta conveniente, ma anche il frutto di una scelta consapevole e di una spiritualità emergente.

COOPERAZIONE  è una delle parole chiave su cui fondare la società del futuro ed in tal senso caratterizzare una delle espressioni più importanti della vita dell’uomo che è il lavoro.

“L’Uomo e il legno”, un binomio suggestivo, carico di tensione poetica, è la denominazione di una cooperativa arl nata nel 1995 e approdata da qualche anno a Scampia, in Viale della Resistenza (tel.081/5435924 e-mailcoopluomoeillegno@libero.it).

Nel curriculum della cooperativa si legge:”Lo scopo della cooperativa è quello di esaltare la centralità dell’Uomo nel lavoro e attraverso il lavoro attivare, sostenere e prevenire forme e situazioni mortificanti e lesive della dignità e del rispetto dell’Uomo, oltre che per favorirne l’integrazione sociale”.

A Daniele Santoro, giovane socio della cooperativa, chiediamo alcune informazioni personali.

Ho ventitre anni e la licenza di terza media. In seguito alla morte di mia mamma, l’assistente sociale mi mise in contatto con la cooperativa, utilizzando il progetto  del Comune di Napoli“Ragazzi Ancora” (legge 216). Per un certo tempo ho lavorato solo di mattina come apprendista e quando mi fu proposto di allungare la giornata lavorativa anche al pomeriggio io risposi “ Basta che mi date i soldi!”. Dopo cinque anni ho acquisito conoscenze e competenze ed ora sono un socio effettivo.

Come vivi questa esperienza lavorativa all’interno della cooperativa “l’Uomo e il legno”?

Senza esagerare per me è come una famiglia. Attualmente la cooperativa è formata dal Presidente Enzo Vanacore, una segretaria e sei operatori che svolgono tutte le varie mansioni senza specializzazioni particolari, cercando di aiutare quelli con minore esperienza; al mattino vengono dei ragazzi che frequentano un corso di formazione. Mangiamo insieme (c’è una cucina pienamente funzionante) e talvolta giochiamo anche al calcio insieme.

Quali sono i prodotti che realizzate? Come vi trovate a Scampia? Che rapporti avete con la coop.La Roccia presente nel Centro Hurtado? Quali le attese e le speranze?

Realizziamo mobili e tutti i prodotti tipici dell’artigianato del legno. Facciamo anche manutenzione e restauri. All’occorrenza siamo disponibili anche ad effettuare traslochi. Progettiamo e allestiamo mostre e negozi. Per me che vengo da Barra, Scampia è un po’ lontana, ma la struttura è spaziosa ed attrezzata (anche se alcuni tubi andrebbero riparati); abbiamo anche organizzato un piccolo orto. Per ora i rapporti con la gente sono buoni, all’insegna del rispetto reciproco e con quelli della Roccia ci siamo scambiati qualche favore, ma non abbiamo un rapporto sistematico.

Non mi dispiacerebbe guadagnare un po’ meglio, ma è anche molto importante migliorare la qualità della vita e del lavoro. Speriamo anche di avere le risorse per occupare altri giovani.

Avete mai pensato di specializzarvi in metodologie di lavoro “ecologicamente compatibili”? E magari  organizzare un ciclo completo che partendo dalla  raccolta di legno usato (pallets, mobili vecchi, cassette da frutta, potatura di alberi, imballaggi, residui di lavorazione ecc.) si possa arrivare fino alla produzione di “pannelli ecologici”?

Di questo è meglio che parli con Enzo…e mi spinge verso il grosso barbuto Presidente Vanacore che non si lascia sfuggire l’occasione.

In tutti i lavori di restauro già adesso usiamo solo prodotti ecologici ed entro la fine dell’anno saremo attrezzati per  usare esclusivamente vernici ecologiche in tutte le altre lavorazioni.

Siamo tra i pochi a smaltire i rifiuti differenziandoli ed affidandoli ad una ditta specializzata…..e ciò costa! Per quanto riguarda il ciclo completo dai rifiuti del legno ai pannelli ci abbiamo pensato, abbiamo discusso con la Regione Campania ed abbiamo contatti con una ditta bolognese. Attualmente il nostro Know how ci consentirebbe di arrivare fino alla fase della macinazione, d’altra parte per il completamento del ciclo ci vorrebbero discreti capitali iniziali oppure il coinvolgimento sul territorio di qualche operatore del settore. Intanto abbiamo intenzione di proporre alla Municipalità di avviare questo progetto di raccolta e macinazione……magari anche con l’aiuto della Legambiente!

Ho provato enorme piacere ritrovare Enzo Vanacore  a Scampia. Lo ricordo negli anni ottanta, quando faceva parte di un piccolo gruppo di giovani che si avvicinarono all’esperienza della Comunità del Cassano e a quella politico –culturale del Circolo “Le quattro giornate”. Allora sostenemmo la lotta dei disoccupati organizzati del Gruppo 01. Oggi le parole d’ordine e le persone di questo movimento mi convincono di meno, auspicherei, invece,  la nascita di una rete tra esperienze cooperativistiche per un approccio al lavoro meno individualistico e più creativo.

                                                                                   Aldo Bifulco

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CORPORAZIONE/COOPERAZIONE


Malgrado l’evidente assonanza, le due parole nascondono concetti, modalità di intendere le relazioni e la vita, a mio parere, antitetiche.

Questa estate le corporazioni, lobby più o meno potenti rigidamente chiuse nel loro particolare, e determinate ad acquisire e difendere qualche privilegio, in seguito al decreto Bersani hanno rumorosamente calcato la scena. E il “partito liquido”, mutuando l’aggettivo caro a Zygmunt Bauman, ma nella sua versione negativa, smarrisce la sua natura liberista, opponendosi alle liberalizzazioni, come in altre circostanze è passato dal facile perdono per i potenti, al giustizialismo per i dannati della terra. Si sa, d’altronde, che la coerenza non fa rima con la ricerca del facile consenso.

La cooperazione, invece, implica una tendenza all’apertura, a considerare il bene dell’altro coincidente con il proprio.

“Fuga di notizie” si è già occupata della Coop. La Roccia, ma forse è il caso di approfondire la conoscenza attraverso le parole di Luigi, un giovane elettricista che ne fa parte.

La prassi consolidata richiede una breve presentazione in apertura dell’intervista.

Ho vent’anni ed ho conseguito la licenza alle medie inferiori. Ho partecipato per due anni al corso di formazione di impiantista elettrico per l’obbligo formativo. Artefice di questi passaggi, ma anche della costruzione della cooperativa, è stato Padre Fabrizio Valletti.

Fai parte della Coop. La Roccia, un termine dal sapore biblico. Fornisci ai lettori del giornale qualche informazione più precisa sulla cooperativa. Quando nasce, quali servizi offre, perché mai questo nome?

La cooperativa nasce a dicembre 2005 ed è strutturata in  tre settori:

a)sartoria con alcune ragazze che lavorano guidate da due stiliste adulte;

b)grafica con operatori capaci di realizzare volantini, manifesti, depliant ecc;

c)impiantistica elettrica ed elettronica civile ed industriale; rete LAN; impianti antincendi, citofonia, videocitofoni e videosorveglianza.

Assieme ad altri sette giovani coetanei mi occupo di questo settore.

La Roccia è “tosta”….e noi dobbiamo essere “tosti” per poter superare le difficoltà che questa società ha creato per noi giovani.

Ho sentito dire che avete qualche difficoltà perché giustamente voi, per motivi di legalità e per motivi etici, emettete fatture, mentre la gente  non ne vuole sapere.

Attualmente riusciamo a lavorare, anche abbastanza intensamente, fuori dal quartiere, ma nel nostro territorio, quando la gente sente la parola fattura (quasi fosse una bestemmia!) gira a largo. Eppure, se ci fermiamo a discutere in generale, tutti sono per la legalità e tutti ritengono prioritaria la lotta all’evasione fiscale… ovviamente quella degli altri!

In questo quartiere, come altrove, ci sono tanti Parchi e tanti palazzi che hanno una gestione condominiale. Perché non vi offrite per alcuni tipi di lavori e di manutenzione? E perché non create una collaborazione più solida con la vicina Cooperativa “L’uomo e il legno”?

Noi abbiamo diffuso un’enorme quantità di volantini nel quartiere. Certo, non sarebbe male l’ipotesi di contattare i condomini di Scampia, passerò l’idea a Mariano Otranto che è il responsabile della cooperativa. Mi sembra anche utile realizzare una sorta di consorzio con “L’uomo e il legno” in modo da scambiarci informazioni, favori e mettere al servizio dell’altro le rispettive professionalità.

La cooperazione potrebbe rappresentare una delle risposte vincenti rispetto alla crisi del mercato del lavoro, ma potrebbe avere un difetto: “non promette la ricchezza”! Sarà difficile estirpare questo cancro diffuso dal modello culturale veicolato dai noti furbetti che infettano il nostro paese, dai mestieranti della politica delle false promesse, da chi incita strumentalmente all’evasione fiscale.

Sarebbe interessante aprire un dibattito serio sul problema delle tasse. Intanto vi invito a scaricare dal sitowww.crbm.org il documento presentato al Forum di “Sbilanciamoci”.

Eugenio Melandri, portavoce dell’Assoc. “Chiama Africa” (www.chiamafrica.it), sostiene che il vero problema per il nostro mondo “Non è tanto la povertà ma la ricchezza!”. Potrà sembrare paradossale, ma io condivido questo pensiero anche se non ho lo spazio per motivarlo.

Basta, comunque, a mio avviso, leggere con attenzione il Vangelo!

Desidero fortemente terminare questo articolo augurando ogni bene alle “pietre dure” di Scampia, a questi giovani impegnati nelle cooperative di lavoro, ricordando loro che la pietra più dura è il diamante!

                                                                                    Aldo Bifulco

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Obiettivo Uomo


Non ho dovuto sforzarmi troppo per trovare il titolo adatto a  “L’Angolo della Gru” di questo mese.

“OBIETTIVO  UOMO”  per una cooperativa sociale rappresenta una denominazione perfetta perché  rende esplicito l’intento di lavorare nell’orizzonte della “cura”, più che per una mera affermazione economica. Un elemento che dovrebbe permeare, a mio parere,  molte dimensioni lavorative (insegnanti, medici, infermieri ecc.) dove la relazione empatica è indispensabile per raggiungere l’obiettivo.

Questa volta più che un’intervista si è trattato di un dialogo a più voci, con Bruno Salvatore e Massimiliano Migliaccio, molto ricco ed articolato, che non può trovare un‘adeguata accoglienza nel breve spazio di una pagina di giornale. Ci aspettiamo e ci auguriamo qualche contributo diretto dei due interlocutori sulle tematiche affrontate nei prossimi numeri di “Fuga di Notizie”.

Partiamo immediatamente con alcune informazioni  più dettagliate sulla cooperativa.

“Obiettivo Uomo” è una delle prime cooperative sociali napoletane. Nasce nel 1992 come costola dell’Opera Don Guanella”, ma ben presto si distacca diventando una cooperativa laica che mantiene, però, viva l’ispirazione educativa che è, poi, quella di Don Bosco, basata essenzialmente sulla prevenzione. Il nucleo storico di 16 soci è affiancato da uno stesso numero di collaboratori. La cooperativa gestisce il lavoro di circa quaranta persone. Gli operatori vengono selezionati con molta attenzione perché si richiedono standard di  qualità ed un codice etico molto elevati.

Abbiamo scelto di orientare il servizio prevalentemente a Scampia, prospettando l’incontro con gli ultimi; il volto dei ragazzi, degli emarginati, delle famiglie in difficoltà rappresentano la nostra interfaccia. Attualmente la nostra educativa territoriale ha in cura circa 120 ragazzi.

Il mondo a cui fate riferimento ha un suo vocabolario e, talvolta, si fa una certa confusione specie tra volontariato e cooperazione. Chiariteci un po’ i termini della questione, anche perché, dietro l’angolo c’è sempre qualche furbetto che tenta di approfittare della situazione.

L’Associazionismo, il volontariato, la cooperazione di solidarietà sociale e tutte le imprese o istituzioni senza finalità di profitto e di speculazione  privata  vengono inquadrate nel cosiddetto terzo settore. Anche se la cooperazione di solidarietà sociale nasce storicamente dall’incontro tra volontariato e cooperazione, il passaggio da un’associazione ad una cooperativa non è automatico e nemmeno naturale. Il volontariato è basato sulla spontaneità e la gratuità assoluta, la cooperativa esprime la sua libera iniziativa con finalità sociale attraverso una componente economica determinata ed una forma giuridica vincolata. Si tratta, comunque, di un’impresa no profit, nel senso che eventuali utili, una volta provveduto agli emolumenti degli operatori, vanno reinvestiti. In “Obiettivo Uomo”  l’Associazione di volontariato e la cooperativa vera e propria, pur distinte, convivono e si integrano perché animate dallo stesso spirito.

Da qualche parte si  sottolinea il pericolo di supplenza nei confronti degli obblighi dello Stato che appare sempre più incline a delegare le proprie responsabilità sul versante della solidarietà.

Il pericolo è reale, ma in questo campo le motivazioni interiori sono fondamentali e non possono derivare automaticamente dalle Istituzioni. Piuttosto non avendo l’autosufficienza economica ci troviamo a rincorrere progetti e bandi di gare per far quadrare il bilancio. Il paradosso è che noi dobbiamo concorrere per fare ciò per cui siamo nati e sottoporci ad una competizione che ci appare sempre più innaturale. Anche perché, in partenza, si richiedono competenze professionali, alti indici di qualità a costi piuttosto bassi , ma poi il controllo dei risultati non sempre avviene. A noi sembrano,invece, elementi di garanzia,  peraltro  poco considerati, la continuità progettuale nel tempo ed il radicamento sul territorio.

La vostra opera meritoria fa riferimento, ovviamente, soprattutto a finanziamenti pubblici.

Cosa dite di tutto questo chiacchiericcio sul problema delle tasse?

Non pagare le tasse ed istigare all’evasione fiscale è senz’altro immorale. Ma anche lo Stato è immorale se non restituisce al sociale ciò che ha prelevato dai cittadini.

Ci vorranno, comunque, cinquant’anni di buongoverno per creare la cultura della partecipazione solidale, perché  le spinte culturali attuali sono tutte orientate verso un individualismo esasperato e verso un consumismo effimero.

Proprio in questi giorni la FAO, nel suo rapporto 2006, ammette il fallimento nella battaglia contro la fame nel mondo. Nei paesi poveri sono a rischio 854 milioni di esseri umani. Ma anche nei paesi sviluppati aumenta il numero dei poveri e dei giovani precari senza futuro.

Con questi problemi nella mente come si fa  a sopportare le lamentazioni dei ricchi per un eventuale  piccolo prelievo dal loro malloppo? …e non lo dico per invidia!!

                                                                                      Aldo Bifulco

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I (miei) CROCICCHI di Scampia

I (miei) CROCICCHI di Scampia

L’atmosfera natalizia e di fine anno mi ha indotto ad inter-rompere (ma solo per questo mese) il lungo colloquio avviato con i giovani di Scampia. Ho voglia di comunicare la mia relazione con il territorio, a prescindere dalla famiglia, mio riferimento naturale e dalla comunità di base, mio riferimento storico.

All’esame di maturità di quest’anno è stata proposta , tra le altre, questa traccia “Città e periferie: paradigma della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva”, accompagnata da numerosi stimoli di autori diversi. Si passava dalla presentazione dell’anomalia periferica vissuta come “altro dalla città”, come incompiutezza, disordine, al limite bruttezza (Rolle) alla periferia da non considerare necessariamente come “non luogo” (Marc Augè) dove con questo termine si vuole intendere  “gli spazi della circolazione, del consumo, della comunicazione, gli spazi della solitudine, come i supermercati”, anche se questi tendono a diventare sempre più luoghi di appuntamento, dove trascorrere il tempo. Io ho sempre  pensato di “vivere “ i luoghi che mi hanno accolto, luoghi sempre periferici o marginali, cercando di scovare o creare situazioni di vivibilità, di contribuire a tessere trame  di relazioni positive, relazioni di amicizia autentica. E’ per questo che mi ritrovo nel pensiero di Portoghese “guardare la periferia non soltanto con sdegno …per le sue caratteristiche di incompiutezza….ma anche con umanistica pietas, cioè con amore, come una realtà da affrontare, di cui aver cura…”.

In questi vent’anni di cittadinanza a Scampia sono tante le situazioni in cui ho potuto “vivere” con intensità la mia dimensione culturale, con autenticità la mia esigenza di socialità e di politica, con profondità la mia tensione emotiva ed affettiva. I CROCICCHI, termine caro a Padre Fabrizio Valletti, più che intersezione di strade, vanno intesi come intersezione di persone, luoghi di relazione, dove si sperimentano e si elaborano strategie di attenzione e cura nei confronti dell’altro e dell’ambiente.  Sono tanti i miei Crocicchi di Scampia.

Il Circolo “la Gru”,  in dieci anni di storia,è stato crocevia di tanti giovani e non; lo definisco un “circolo di strada” perché  ha tentato, mentre altri si ritiravano e si richiudevano nei propri recinti, di riportare le iniziative, la ricerca, la politica, anche la gioia al di fuori dei cancelli reali e mentali, all’aperto. Di “strada” anche per la mancanza di strutture proprie, per la povertà delle risorse, la precarietà dei mezzi. Ma Toni, Ciro, Marcella , Gennaro, Alberto, Cristiano sono ancora sulla breccia. Il circolo ha avuto, tra l’altro, il merito di puntare i riflettori sul “verde di Scampia” che rappresenta una risorsa del quartiere da salvaguardare.

Il Gridas è “la bussola etica del territorio”. I laboratori, in preparazione del Carnevale di quartiere, sono fucina di creatività, fonderia di idee e manualità, circuito di ironia, narrazione di storie, esperienze, avvenimenti. La calda accoglienza di Mirella, i dolci rimproveri di Martina, la paziente operosità di Gaetano, la spinta organizzativa di Franco rendono piacevole e interessante il lavoro comunitario. Tra l’odore di colla e di pittura, tra i rumori di martello e sega e il fruscio del filo di ferro, aleggia persistente lo “spirito di Felice”.

Il Caffè letterario, ma anche le altre iniziative dell’Ulten-Auser, rappresentano i crocicchi più recenti e più coinvolgenti di questo momento storico. Franco riesce sempre a creare una magica atmosfera che tieni incollati sulle sedie i cinquanta e più fedeli frequentatori del caffè letterario che vagabonda tra diverse sedi. Quella miscela straordinaria di prosa, poesia e musica suscita suggestioni particolari, i sapori culturali che emergono aprono orizzonti e generano desideri. Ma anche il sapore della “miscela tutta partenopea”  del caffè che Ester offre alla fine dell’incontro, con il  suo sorriso dolce e accogliente,  crea vicinanza e cementa amicizie.

Il TAN (Teatro Area Nord) è già un polo teatrale che supera l’orizzonte di Scampia, per la collocazione, la platea di riferimento e la qualità della programmazione. Eppure quel folto drappello di cittadini di Scampia che si dà appuntamento con costanza a Via Dietro la Vigna, ha trovato e creato un ambiente, oserei dire familiare. Sparsi tra la folla che, finalmente, riempie il teatro, all’inizio della rappresentazione si cercano, quasi per confermare una presenza attesa; così un movimento ondeggiante di mani che salutano, anima tutte le direzioni della sala. Certo Lello Serao che ti attende e ti abbraccia all’apertura della stagione teatrale, Alessia e Margherita che spezzano il momento amministrativo con sorrisi e frammenti di informazioni che rendono più interessante l’attesa, l’invito a bere insieme un sorso di vino e scambiare impressioni sullo spettacolo appena concluso, magari con la presenza degli attori, rappresentano una specificità straordinaria di questo teatro. C’è una partecipazione della gente direi calda e raffinata, lontana dall’atmosfera fredda e aristocratica di alcuni teatri cittadini, ma anche  da quella un po’ sguaiata di tipo nazional-popolare. Va sottolineato, inoltre, che il TAN non è una cittadella isolata ma è pienamente inserito nella rete culturale e sociale del territorio.

L’Eucarestia delle 11.30 alla Rettoria dei Gesuiti. Padre Stefano e Padre Fabrizio hanno creato una comunità articolata che, in gran parte,  vive la fede non come un obbligo identitario;  si avverte che la proposta di Cristo non è un peso cupo ed opprimente, ma è intrisa di responsabilità gioiosa,  proiettata verso una  condivisione autentica e  serena. Le stimolanti riflessioni di Fabrizio si intrecciano con la  preghiera spontanea  e piena di com-passione della gente, il gesto della pace non è un rito ma un piccolo dono  offerto al vicino.  Conosco solo una parte dell’assemblea, ma avverto che tanti percorsi sono permeati da un comune sentire. Confesso di aver vissuto momenti di intensa emozione ed una implosione di grazia. La mia storia e la mia esperienza mi fanno fuggire da ogni logica di precetto eppure quando non riesco a partecipare, questo incontro mi manca .

Fuga di notizie, infine, rappresenta per me un altro importante punto di riferimento. Ogni mese aspetto con trepidazione di leggere le riflessioni e le sollecitazioni che vengono proposte dagli amici della redazione. E poi mi ha dato l’opportunità  di stendere tanti fili  tra l’umanità varia,  soprattutto giovanile, che rende ricco questo territorio. Di alcuni conosco solo la voce, ma molti sono diventati interlocutori  privilegiati con cui continuo ad incontrarmi nella vita quotidiana.

Questi non sono i soli crocicchi di Scampia, e forse nemmeno i migliori, ma sono i miei.

Non vorrei apparire ingenuo ed orbo al punto da non capire e vedere che per questa realtà occorre innanzitutto giustizia, lavoro, vivibilità e sicurezza ma la società civile nel mentre lotta per questi obiettivi generali, può contribuire alla riqualificazione culturale e relazionale.

Teilhard de Chardin con un’espressione che fratel Arturo Paoli ripete  sovente afferma che bisogna “amoriser le monde”. Ed io mi interrogo spesso come fare per “amorizzare” questo frammento di mondo che è Scampia, come inserire dinamiche di vita in una realtà che sembra attraversata  solo da dinamiche di morte. Immagino allora una  rete i cui nodi sono rappresentati da una moltitudine di crocicchi e con gli spazi vuoti, luoghi della solitudine e dell’indifferenza, sempre meno estesi e mi pare di poter sperare un’alba diversa per questo nostro martoriato amato territorio.

                                                                                      Aldo Bifulco

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Felice: un capitolo di storia di Scampia

“L’uomo non è dotato di una saggezza maggiore di quella degli altri esseri, per molti numeri egli è superato da molti e anche da quelli che sono irrilevanti per la loro esigua corporeità: ma l’uomo è incorso in una sorte migliore avendo avuto il dono della mano.” (Giordano Bruno). 

Il richiamo di Felice, non solo nei murales, a questo inestimabile dono avuto dall’uomo era ricorrente: rappresentava il simbolo della sua caparbia azione didattica ed il segno del suo progetto pedagogico, non sempre compreso, talvolta tollerato. 

E la mano, la sua mano “color alabastro”, è stato il punto di convergenza degli sguardi silenziosi e commossi di tanti che sono accorsi da ogni parte della città per riscaldare quella fredda stanza del Monaldi. Sembrava pronta ad afferrare il pennello per lanciare un altro messaggio di denuncia e di indignazione, ma anche di pace, compassione e tenerezza. Anche alla fine ci ha saputo dare una lezione di semplicità e sobrietà: “se n’è andato col suo gilet dalle mille tasche, con la pipa, il righello, le penne e….le buste di plastica ben piegate, sempre pronte per ogni evenienza”. E poi con i piedi scalzi, perchè amava saggiare il calore diretto della madre terra ( forse come il suo amico Nuvola Rossa). E con poche margherite di campo (quelle dei suoi disegni); le stesse che pare abbiano accompagnata la nuvola delle sue ceneri che si è distesa nell’orizzonte aperto di S.Vito dei Normanni. 

Felice “era uno di noi” ci dicevamo nella Comunità di base, direi che era “prima di noi”. L’abbiamo incontrato per la prima volta nel campo Arar di Poggioreale perchè la sua baracca confinava con quella delle Piccole sorelle (con l’indomabile p.sorella Maura, operaia della Cirio) dove talvolta ci recavamo per pregare in un contesto di esclusione. Mentre noi balbettavamo i temi rivoluzionari di cui è intriso il Vangelo, lui già li incarnava nella dura concretezza della storia. Una condivisione praticata, non proclamata. Una condivisione vissuta sempre con radicalità e gratuità assoluta. 

Abbiamo ritrovato Felice a Scampia ed è diventato compagno e fratello di tante iniziative. La “Gru”, anche il nome dato al Circolo di Legambiente è frutto di una sua intuizione, mentre parecchi di noi, stretti intorno al tavolo del Gridas, spremevamo, invano, le meningi per trovare un’idea originale. 

Franco, storico compagno del Gridas, quel giorno, mentre mi stringeva per tentare di controllare ed attenuare la morsa del dolore esclamava:”Correva, correva troppo Felice”. Il cavallo alato galoppante che compariva in alcuni murales: non si riusciva a seguirlo nella sua fertile progettualità, nella sua energica operosità, nelle sua estrema coerenza. Anche noi, come Nino Lisi, abbiamo avvertito, tante volte, “un muto rimprovero”, subito mitigato dalla dolcezza del suo sorriso e dalla generosità con cui si immergeva in ogni situazione. 

Tutti in ritardo nei suoi confronti, anche e soprattutto le Istituzioni. Gli farei un torto se non ricordassi la solitudine dell’ultimo periodo. La sofferenza per alcuni progetti franati, le numerose beffe subite, l’assenza di ascolto del suo grido profetico. Succede spesso così! 

Non riesco, comunque, a sopportare chi parla di Scampia come di un quartiere senza storia. Per quanto tormentata e contraddittoria c’è sempre una storia. Le pagine più belle e significative le ha scritte proprio lui. Felice rappresenta il capitolo più importante della storia di Scampia, perchè ha dato una connotazione originale a questo territorio, lo ha fatto conoscere per una dimensione diversa dalla rappresentazione abituale che si è diffusa in strati di popolazione sempre più vasti. 

La sua arte sarebbe stata una “grande risorsa” per il quartiere; è mancata la consapevolezza istituzionale e popolare. Sono rimasto fortemente sorpreso – quel giorno – nel vedere le lacrime copiose e sincere di tanti giovani. Il mio pessimismo si è addolcito e mi sono ricordato di un pensiero letto su una rivista: “Se non ci sono stati i frutti è valsa la bellezza dei fiori. Se non ci sono stati i fiori è valsa l’ombra delle foglie. Se non ci sono state le foglie è valsa l’intenzione del seme”. 

Per la verità nel mese di marzo Felice avrebbe dovuto realizzare un mosaico, commissionato dal Comune di Napoli (era ora!), sulle mura del campo di calcio costruito a Scampia….e poi ad aprile nascerà il nipotino, ma Felice, ancora una volta ha corso troppo, ha anticipato gli eventi ed è volato via con la sua “anima leggera”. 

Alla marcia della Pace del 20 marzo, uno spezzone del movimento, quello della città di Napoli, rumoroso e motivato, era dietro lo striscione “Il rullante di Felice continua a scandire i ritmi delle lotte per la libertà”.

In questo periodo il Gridas è frequentato da tante persone che vogliono perseguire con tenacia, a partire dalla organizzazione della memoria di Felice, gli obiettivi di animazione culturale e sociale che lo caratterizzavano. 

E poi mi piace ricordare il foglietto che un ragazzo dell'”Oasi giocosa” ha fatto trovare sul cancello del Gridas ” Felice, ora che stai lassù, non far piovere alla prossima sfilata del Carnevale” 

Mi sembrano forti segnali di speranza, una volontà di continuare. 

Ancora una volta aveva ragione lui quando chiudeva un libro con la frase di Ernesto Cardenal: 

“L’artista è stato sempre completamente integrato nella società: ma non nella società del suo tempo, in quella del futuro. L’artista, il poeta, il dotto e il santo sono membri della società del futuro, di quella società che già esiste sul pianeta come un seme, un seme forse disperso in piccoli gruppi e nei singoli, qua e là; indipendentemente dalle ripartizioni della geografia politica.” 

Aldo Bifulco

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